COSA FACCIAMO

Cosa facciamo? Tutto per la formazione e lo facciamo per bene!

  • Tutto per la formazione, è la conclusione ottimale del fatto che facciamo tante cose: vogliamo fare eventi formativi, ma anche accompagnare processi; vogliamo pubblicare appunti e libri, ma anche costruire strumenti formativi; e vogliamo infine sostenere la valutazione delle prassi come modello formativo. Così quando qualcuno ci chiede: “Ma quante cose fate?”, rispondiamo “…tutto per la formazione!”. Perché ogni cliente è diverso e ha bisogno di più strade per raggiungere il suo obiettivo.
  • Formare per bene”,  il leitmotiv dei formatori e formatrici AGO è legato al grande Gigi Proietti. È sua la frase detta nell’ultimo anno della sua vita: “Dalla crisi non si esce con l’odio, la rabbia: quelle sono solo le conseguenze. La soluzione, invece, è l’amore, e il far tornare di moda le persone perbene.” Ecco l’impegno: provare a essere persone per bene, formare persone per bene, facendolo bene puntando al Bene.

 

IL NOSTRO PENSIERO

Alla base del nostro modello c’è l’apprendimento e l’apprendimento parla di saperi, declinati come conoscenza (sapere), come competenza (saper fare) e come valori (saper essere).

Apprendere, comprendere, intraprendere sono tutti verbi che hanno in sé “prendere” e a noi piace pensarlo come un chiaro ed evidente riferimento alla dimensione fisica del sapere e al legame che intercorre tra azione e pensiero.

Il nostro motto è Learning by Playing · Playing for Communities.

Il Learning by Playing è un’evoluzione del più noto e diffuso Learning by Doing, caratterizzata da uno studio e dall’utilizzo del gioco come strumento d’azione. In questo modello vale pienamente la premessa che abbiamo fatto. Il centro non è il gioco ma è l’apprendimento. Il gioco è il veicolo che conduce l’apprendimento.

La scelta dell’inglese “play” non è motivata da questioni di immagine ma serve a restituire la completezza del concetto. To play, rispetto all’italiano giocare, ha molti altri significati, quali suonare, praticare sport, recitare e avviare. Tutti verbi che si sposano benissimo con la formazione e, soprattutto, tutti verbi che pretendono da parte di chi li implementa di mettersi in gioco. Perché per noi è così importante che ci si metta in gioco? Perché per mettersi in gioco bisogna che ci sia coinvolgimento. Un elemento fondamentale nei processi formativi! Il coinvolgimento, non solo libera l’entusiasmo, ma costituisce una porta a doppia entrata che permette ai bisogni delle persone di uscire e al cambiamento di entrare. Ricordiamolo sempre che il fine ultimo della formazione è il cambiamento.

Perché amiamo e utilizziamo proprio i giochi in scatola?

Prima di tutto il gioco in scatola è un prodotto finito, il cui aspetto, inteso come confezionamento e grafica, fornisce già delle importanti indicazione. Inoltre, rispetto ai training tools studiati ad hoc (che comunque utilizziamo!) sui giochi da tavolo sono già state condotte moltissime sperimentazioni di utilizzo.

Da un punto di vista tecnico ed epistemologico, invece, nei giochi da tavolo sono presenti contemporaneamente tutte le tre dimensioni del gioco: le meccaniche, le dinamiche e l’ambientazione. Questo aspetto li rende più inclini ad essere analizzati, smontati, ricostruiti e adattati. Questa flessibilità la si può osservare con facilità nei cosiddetti party games, caratterizzati da poche meccaniche e da un’ambientazione semplice, che li rende adattabili a una vasta gamma di contesti.

L’importanza di avere contemporaneamente meccaniche, dinamiche e ambientazione è fondamentale se il gioco non lo si usa per scopi ludico-ricreativi ma diventa uno strumento di apprendimento che, paradossalmente, obbliga a giocare anche chi non ne avrebbe voglia. Questo concetto assume il nome di ludiforme e rappresenta di fatto la vera convergenza tra gioco e apprendimento. Il gioco perde la sua dimensione ludica (si gioca perché obbligati e non per spontanea aggregazione) per diventare uno strumento che veicola l’apprendimento. Nonostante perplessità e resistenze saranno le, in qualche modo anche giustificate, reazioni di più diffuse tra i formandi, il gioco offre un’esperienza unica. Ti posta al di là, quando si gioca ci si dimentica del vero motivo per cui si è li ed è proprio questa la sua forza! Si va altrove, in un altro mondo, con altre regole e quindi provo davvero quell’esperienza nonostante le perplessità e le resistenze che ci possono essere all’inizio. Abbiamo un gioco che obbliga e che allo stesso tempo ha un senso di sé che permette, al termine, di agganciarsi al tema.

A questo si collega fortemente la seconda metà del nostro motto: Playing for Communities.

Durante il processo di formazione, il gioco non si spiega con una formula scientifica ne tantomeno con un “bene, avete capito tutto?”. Il gioco va spiegato come va spiegata una vela per prendere il largo! È l’esperienza da cui partiamo. Entrati e in un aspetto del tema e a quel punto scendono in campo la risonanza e la facilitazione. Il gioco ci rende gruppo (nel bene e nel male) perché ci fa vivere un’esperienza condivisa. Dall’apprendimento attraverso il gioco si arriva all’obiettivo più grande: il Bene Comune.

L’economista Adam Smith ha elaborato un concetto conosciuto come la Mano Invisibile, secondo cui gli individui generano ordine sociale e sviluppo economico nonostante non agiscano con l’intenzione di generarlo, ma con quella di perseguire il proprio interesse personale. Spoiler: non funziona! Funziona però il suo contrario. Investire sul bene della comunità si ripercuote positivamente anche sul bene individuale. Ecco la nostra visione della formazione.

 

LA NOSTRA METODOLOGIA

Indipendentemente dalla specifica richiesta, il nostro approccio formativo si basa sempre su un processo che va oltre il bene individuale. Come facciamo? Cerchiamo di matchare ciò che accade durante un gioco e ciò che vorremmo avvenisse in un contesto lavorativo. Per fare ciò, lavoriamo sulle tre dimensioni del gioco di cui parlato prima: le meccaniche, le dinamiche e l’ambientazione, e su tre dimensioni della conoscenza: il tema, l’obiettivo e la narrazione.

Questi sei elementi si combinano come facce di un dado, generando coppie che si richiamano continuamente.

  1. Meccaniche + Dinamiche → Le meccaniche (le regole e gli strumenti) generano le dinamiche (reazioni e relazioni tra i partecipanti).
  2. Tema + Obiettivo → Dato il un tema, l’obiettivo è sempre un obiettivo di cambiamento.
  3. Ambientazione + Narrazione → Creano il ponte tra il gioco e il processo formativo, un’interazione continua tra i due mondi.

Utilizzando queste sei dimensioni, possiamo iniziare da qualsiasi punto e trovare gli strumenti necessari per sviluppare il formato formativo desiderato.

 

LE PASSIONI DEL FORMATORE

Il gioco per noi è, come si sarà intuito, una parte fondamentale del processo, ma non è sufficiente da solo. Un formatore deve avere tre passioni:

  • per la materia,
  • per i destinatari,
  • per la didattica.

Nessuna di queste passioni può sostituire le altre, devono coesistere e integrarsi. La passione per la didattica è quella che ci spinge a considerare il gioco prima ancora del tema, valutando quale gioco potrebbe funzionare meglio in base al contesto e all’argomento. È essenziale avere la capacità di riadattare il gioco, poiché, per esempio, le esigenze della scuola sono diverse da quelle dell’industria, il personale sanitario è diverso da un team di vendita, un anziano è diverso da un giovane.