CAMBIAMENTO 4: ALCUNE RISPOSTE PRATICHE

Spesso ai corsi si chiede qualcosa all’ultimo al formatore e tante volte non c’è il tempo per approfondire. Lo facciamo ora, sempre sul cambiamento.

CHE FARE DI FRONTE AL CAMBIAMENTO?

Finisce qui il nostro percorso sul cambiamento. Abbiamo fatto tre passi insieme: nel primo abbiamo visto che noi siamo cambiamento anche se facciamo fatica a cambiare; nel secondo abbiamo visto come questo ci obbliga a vivere l’ascolto come dimensione necessaria e fondativa; nel terzo che tutto questo porta alle soglie della decisione e dello stile progettuale.

Sono gli stessi tre passi che ho fatto in una formazione che ha coinvolto circa 160 persone con ruoli educativi: insegnanti, operatori pastorali, educatori. Alla fine ho raccolto delle domande di gruppo. Metto qui le più emblematiche che penso possano aiutare a chiudere il cerchio di questo cammino.

Tra cambiamento e stabilità, quanta importanza ha l’adattamento?

Una domanda molto intelligente. Nel percorso abbiamo evidenziato come non possiamo non cambiare e come abbiamo bisogno di fedeltà nel nostro cambiamento. Tutto questo è adattamento? Potremmo dire di sì, se puntiamo al senso etimologico e ci stacchiamo dal senso moderno.

Oggi adattamento è un po’ un sinomino di compromesso al ribasso, sa di comfort zone, sa di mediocrità. Ma adattamento significa letteralmente “aggiustare per uno scopo“. Allora sì che adattemento è una parola fondamentale. Quando vogliamo attivare un cambiamento, dobbiamo mettere in conto che toccheremo inevitabilmente la vita degli altri. Ma abbiamo visto che quando il cambiamento ci è richiesto da fuori abbiamo delle resistenze. L’adattamento è quello che ho chiamato continuo ricalcolo percorso.

Adattare continuamente è la risposta tra fedeltà a grandi obiettivi e conti fatti con la realtà. Si tratta di stare tra “il bene che va fatto bene” e “l’ottimo che è nemico del bene”. Ne ho parlato già in un altro articolo. Adattare continuamente è questo equilibrio dinamico. Come si fa a mantenerlo? Semplicemente prendendo del tempo quando si progetta indicando i valutatori degli obiettivi (che cosa mi farà dire che ho raggiunto degli obiettivi?) e prendendo del tempo per guardare il proprio stile e rinnovarlo, o mettendo nuova benzina al motore o facendo al motore una revisione necessaria.

In concreto, sulla comunicazione che cosa dobbiamo fare?

La comunicazione del cambiamento è fondamentale, ed è anche la più sottovalutata. È qualcosa che ho imparato nei lavori aziendali. Quando in un’impresa si decide un cambiamento, ci sono tanti passaggi e tanta fatica: si affronta il problema, ci si confronta, si fanno analisi, si chiamano consulenti, si vede una soluzione, se ne parla, non ci si capisce, si ricomincia… Insomma, il cambiamento vero e proprio arriva dopo molta fatica. Perciò quando si decide, a livello alto sono quasi finite tutte le energie e si vorrebbero vedere i risultati subito.

Per questo, appena lanciato il cambiamento, non si sopportano le reazioni negative, gli ostacoli. Quando abbiamo deciso di cambiare, abbiamo fatto solo il primo passo. La nostra decisione porta sempre dei cambiamenti negli altri e sappiamo che questo porta delle reazioni non positive. Gli altri non hanno lavorato sull’idea di cambiamento quanto noi che abbiamo deciso di cambiare! Serve un buon piano di comunicazione integrata sugli obiettivi del cambiamento e un buon accompagnamento del processo.

Quando siamo davanti a grandi realtà con molte relazioni, fino a dove devo spingermi? Io la penso in un modo, un altro in un altro…

Sono sempre più convinto che in una frenesia di tempi che si rincorrano, sia sempre più necessario lavorare a creare degli spazi di profondità. Spazi personali e spazi di gruppo.

Creare delle oasi di confronto costanti, al di là della prestazione di una decisione, aiuta poi a prendere decisioni nei momenti più difficili, dove i diversi punti di vista, devono convergere.

Inoltre, servono degli spazi per noi stessi, dove rielaborare i vissuti, capire meglio l’altro. Per questo la meditazione è sempre più invocata da tutti i mondi di crescita personale, laici o cristiani che siano. Servono dei momenti dove noi capiamo perché quella persona ci ha ferito con il suo modo o ci ha particolarmente compiaciuto. Non possiamo cambiare gli altri, per questo dobbiamo lavorare su di noi.

Senza queste due oasi, di gruppo e personale, difficilmente riusciremo a capire che cosa fare nei momenti di confronto: se andrà bene vincerà il criterio della maggioranza. Ma in caso di parità? E soprattutto, quando io sono nella minoranza, come mi sentirò?

Come accompagnare al camabiamento e nel cambiamento, i soggetti indiretti? Ad esempio le famiglie per una scuola?

Potrebbe sembrare difficile, ma in realtà la risposta è facilissima, sul che cosa fare e impegnativissima nel farlo.

Partiamo infatti dalle due considerazioni del cambiamento: fa parte della nostra vita e facciamo fatica ad attuarlo. Da queste due dimensioni nasceranno due approcci in base a due casi:

  1. Abbiamo creato noi il cambiamento. Come detto nella risposta sopra, dobbiamo preparare il terreno. Se abbiamo imparato che ogni cambiamento imposto crea qualche reazione negativa, allora dobbiamo strutturare non solo il cambiamento, ma la comunicazione dello stesso. Sapppiamo già che sarà complesso, ma lo vivremo con meno stress, perché sappiamo già che è così.
  2. Il cambiamento arriva dalla famiglia. Succede. Il problema spesso è che non abbiamo tutti i dati. Per capire che cosa fare prendiamo un caso limite. Un allievo perde un genitore improvvisamente. Ovviamente ne veniamo a conoscenza e sempre ovviamente avremo un contesto che spiegherà l’inevitabile cambiamento nella vita del ragazzo o della ragazza. Questo ci porterà a creare un approccio solidale, con l’allievo e con la sua famiglia. Questa è la risposta da attuare sempre. Quando vediamo un cambiamento, ma non sappiamo il motivo, dobbiamo attivare una prossimità solidale. Nel primo caso era data quasi d’istinto, nel secondo sarà scelta.

In conclusione…

Anche nell’ultimo punto abbiamo visto che la nostra decisione è fondamentale in un mondo che cambia, perché il cambiamento è un dato di fatto, decidere di cambiare per migliorare, no. La nostra decisione fa quindi la differenza, anche quando decidiamo di accettare il cambiamento e dobbiamo aspettare prima di vedere una nuova strada. Decidere è il nostro segno nel mondo al di là dei risultati. Serve per fare buoni risultati, ma non è sufficiente. Non è sufficiente, ma senza non saremmo pienamente noi stessi.

Gigi Cotichella

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