Questa volta Gigi Cotichella ci parla di un’esperienza che è diventata fondamentale non solo nella mia vita, ma anche nella nostra rete. Quest’esperienza ha un nome: Il Gioco del Lavoro. Qualcuno sa che è uno spettacolo, ma pochi sanno la sua storia, il tema e, soprattutto, cosa c’è dietro.
Che cos’è Il Gioco del Lavoro?
Il Gioco del Lavoro è uno spettacolo che mi sono regalato per i cinquant’anni e che metteva in ordine un’idea, una situazione, che da anni mi chiedeva delle risposte: che cosa e come fare per stare bene sul luogo del lavoro? Questi anni di stimoli hanno ricevuto degli incontri, in modo particolare tre. Mi hanno regalato tre parole chiave attorno cui gira tutto lo spettacolo: dignità, autorialità e sollecitudine.
Tre regali di spicco
Il termine dignità me l’ha regalato don Luca Peyron, saggista e docente universitario specializzato nella relazione tra tecnologia e spiritualità, collabora con il Centro Naxa del Politecnico di Torino, l’Internet Society e lo Humane Technology Lab dell’Università Cattolica. L’Unione Astronomica Internazionale ha dato il suo nome a un asteroide perché è stato in grado di collegare l’astronomia alla coscienza collettiva.
La parola autorialità mi è stata donata da Stefano Zamagni, anche lui con un curriculum di tutto rispetto. Specializzato presso l’Oxford University, è docente universitario presso vari atenei, tra principali collaboratori di papa Benedetto XVI per la stesura dell’Enciclica Caritas in veritate e copre diversi incarichi di grande responsabilità e importanza tra cui la presidenza dell’Agenzia per le Onlus e della Pontificia accademia delle scienze sociali.
L’ultima parola, sollecitudine, mi è stata regalata da Massimo Mercati, amministratore delegato del Gruppo Aboca e presidente delle Farmacie Comunali di Firenze.
Il declino del lavoro: qualche dato
Da queste tre parole è iniziata una ricerca che è andata a toccare anche le radici di che cos’è il senso del lavoro.
Mi sono imbattuto, a tal proposito, anche nel report di Gallup. Annualmente quest’azienda, uno dei principali centri di ricerca al mondo per lo studio dell’opinione pubblica e del comportamento umano, pubblica uno studio annuale che fornisce una visione completa sullo stato del lavoro nel mondo. Il report del 2024 conferma una tendenza in crescita nell’era post-Covid: progressivamente i dipendenti perdono sempre più interesse nei confronti del loro lavoro. Questa piaga riguarda i lavoratori di oltre 50 settori diversi di tutti i continenti. Questo disinteresse è un problema non solo perché porta a un’enorme perdita economica (circa 9 trilioni di dollari nell’economia globale), ma, soprattutto, perché significa che all’interno dei vari ambienti lavorativi manca quasi del tutto il clima di fiducia, collaborazione, benessere e lealtà tra i salariati. Insomma… al lavoro stiamo male e le motivazioni non sono più unicamente salariali. Si è sviluppata, infatti, una dinamica che ci fa stare male per più di 8 ore al giorno. Ciò, però, non ha niente a che vedere con il concetto della fatica, implicita al lavoro, ma con l’idea di realizzazione di sé.
Parola d’ordine: autorialità
Ecco allora che queste tre parole e la ricerca fatta da un team interno di Ago hanno portato davvero a scoprire tanti aspetti.
Innanzitutto la dignità intesa come luogo dove scoprire che ognuno vale e quindi che il lavoro nobilita perché porta a realizzare sé stessi. È chiaro che, se il lavoro non realizza veramente o se non ci si rende conto che il lavoro realizza davvero le persone, inevitabilmente ci si troverà male in quel contesto lavorativo. Ecco allora che la conseguenza è l’autorialità, cioè, riconoscere che quel lavoro è il proprio lavoro, quello che si è fatto con le proprie mani. Oggi è sempre più difficile nei lavori normali capire che quel lavoro l’ho fatto io, perché spesso si fanno servizi e pezzi di lavoro. Per questo il fascino del lavoro manuale ritorna in auge insieme ai lavori relazionali e creativi, dove si vede il risultato del proprio impegno e l’opera d’arte completa. In fondo artefatto (dal latino artifex) è il prodotto sia dell’arte che dell’artigianato.
L’autorialità è fondamentale e prevede le due dimensioni delle leggi del diritto d’autore: la riconoscenza del lavoro. Chi ha creato l’artefatto deve riconoscere il proprio lavoro e l’imprenditore deve riconoscere i meriti dell’autore, non solo dal punto di vista salariale. Questo richiede però una dimensione collegiale, perché nessuno lavora da solo, neanche liberi professionisti.
L’importanza della sollecitudine
E da qui nasce la sollecitudine. Questa ci chiede di aiutare gli altri nel lavoro per poter essere aiutati nel nostro. Si ha la consapevolezza che, senza l’aiuto reciproco, si distrugge il lavoro di entrambi. Proprio per questo il sollecito nasconde in sé due facce, quella della cura degli altri e quella dello spronarsi reciprocamente a fare bene quello che si deve fare perché altrimenti il risentimento sarà di tutti.
Ma cosa c’entra Ago?
Questi tre aspetti sono stati elaborati nel contesto classico dello stile di Ago e, anche da qui, sono nate le idee per i giochi con il pubblico, la dinamica del sorridere per prendere consapevolezza, ma anche dell’approfondire, del rielaborare, dell’appropriarsi di quello che sono i contenuti. Il Gioco del Lavoro diventa quindi tutti gli effetti formativo perché ingloba le persone e perché ha anche un ricordo da portarsi a casa per portare in movimento quello che abbiamo fatto.
Da questa esperienza e dalle varie rappresentazioni fatte da quella prima volta per i cinquant’anni, sono nate anche altre dimensioni, tipo i laboratori, le schede per continuare i lavori eventualmente con chi si occupa di formazione professionale per giovani nei CFP, i laboratori successivi sulle tre parole con i dipendenti che hanno visto lo spettacolo, e varie altre dimensioni. Ma è nata anche una riflessione: queste tre parole alla fin fine ruotano attorno a una parola che oggi è più che mai urgente, che è cura. Se ci facciamo caso, infatti, la dignità è cura di sé stessi, l’autorialità è cura del proprio lavoro e la sollecitudine è cura degli altri; questo dice proprio un equilibrio fondamentale e necessario per stare bene al lavoro, per rivoluzionare il lavoro oggi e per dire, come diciamo nella nostra proposta per le aziende, stare bene al lavoro, fare bene il lavoro.
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