In questo articolo Anna Desanso fa una riflessione relativa al tempo estivo: veloce, leggero e spensierato che, però, si sta muovendo sempre più verso una direzione di ostentazione, fretta e visibilità… E se invece di condividere qualcosa a tutti i costi ci fermassimo?
Cogliamo l’occasione per ringraziare l’editoriale La porta di vetro che ci concesso di riprendere questo loro articolo.
Un po’ di pausa e silenzio
“Il Dio delle piccole cose, quello che benedice le ore sprecate, le occasioni mancate, le vite distratte.” — (Dio delle piccole cose scritta da Gae Capitano, cantata da Fabi, Gazzè e Silvestri). Ho riascoltato Il Dio delle piccole cose in questi giorni, quasi per caso, mentre cercavo un po’ di silenzio tra le pieghe rumorose dell’estate. Come spesso accade con le canzoni che ci abitano da tempo, quelle parole hanno fatto più rumore del previsto. Mi hanno riportato al centro di una riflessione che sento urgente: quella sul tempo, sul viaggio, sulla necessità di disconnettersi per riconnettersi davvero.
In un’estate che sembra correre più veloce dei treni in corsa, tra notifiche che lampeggiano e storie che si accumulano sui social come sabbia tra le dita, ci viene voglia di credere — come cantano Fabi, Gazzè e Silvestri— che esista davvero un dio delle piccole cose. Uno che sappia ascoltare i silenzi mai diventati parole, che conosca i gradini di pietra e le estati scoscese, che raccolga le briciole perse di ogni esistenza.
Il social detox come atto di libertà
La vacanza, oggi, rischia di diventare una performance. Un palcoscenico digitale dove ogni tramonto deve essere condiviso, ogni piatto fotografato, ogni sorriso filtrato. Ma cosa succede se ci concediamo il lusso di non raccontare tutto? Se lasciamo che certi momenti restino solo nostri, custoditi come respiri sui vetri dei treni che partono senza sapere dove ci porteranno?
Fare social detox – cioè ridimensionare l’attività o la presenza sui social media – non significa sparire, ma ritrovare il tempo. Quello vero. Quello che non ha bisogno di essere documentato per esistere. Il tempo lento di una passeggiata senza meta, di un libro letto sotto un albero, di una conversazione che non finisce con “aspetta, faccio una storia”. È un atto di libertà: scegliere di vivere senza il bisogno costante di validazione, senza l’ansia del confronto, senza il filtro di uno schermo.
Viaggiare per guardarsi dentro
Che si tratti di un luogo lontano o di una meta dietro casa, il viaggio ha sempre il potere di trasformarci. Ci costringe a uscire dalla comfort zone, a confrontarci con l’ignoto, a perdere le abitudini per ritrovare l’essenziale. È nel disorientamento che spesso troviamo nuove direzioni. È nel silenzio di un luogo mai esplorato — fisicamente o interiormente — che impariamo ad ascoltarci davvero.
Andare significa anche concedersi il tempo di non sapere. Di non avere tutto sotto controllo. Di lasciarsi sorprendere. È scegliere di vivere esperienze che non possono essere pianificate né filtrate. E proprio lì, in quel tempo sospeso, possiamo riscoprire il valore del presente.
Ogni meta merita attenzione
Non è la distanza a definire il senso di un viaggio, ma la disponibilità a lasciarsi attraversare. Un borgo a pochi chilometri, una spiaggia silenziosa, un sentiero mai percorso: ogni luogo può diventare occasione di scoperta, se vissuto con sguardo aperto e tempo autentico.
Valorizzare ciò che è vicino non significa rinunciare all’altrove, ma riconoscere che anche il paesaggio familiare può sorprenderci, se lo osserviamo con occhi nuovi. Ogni partenza, se affrontata con consapevolezza, ha il potere di convertirci.
Vivere con intensità
Viviamo in un’epoca che ci spinge a correre, a produrre, a mostrare. Ma il tempo non è solo una risorsa da gestire: è un bene da onorare. Ritrovare il tempo significa restituirgli dignità. Significa vivere con intensità, non riempiendo ogni minuto, ma scegliendo con cura ciò che conta. Il dio delle piccole cose ci insegna che il valore non sta nel clamore, ma nella presenza, in un caffè condiviso, in una parola detta al momento giusto, in un paesaggio che ci toglie il fiato senza bisogno di essere fotografato.
Forse la vera vacanza è quella che ci permette di sospendere il tempo, di vivere senza l’urgenza di raccontare, di stare nel presente con gratitudine. E chissà, come dice la canzone, se alla fine del cammino quel dio ci ridarà indietro le vite che abbiamo lasciato in sospeso.
Un invito all’autenticità
Nel frattempo, possiamo cominciare da qui: da un viaggio che non misura la distanza, ma la profondità dello sguardo. Da un piccolo inchino al tempo che ci è dato, fragile e prezioso. Da un’estate vissuta con meno “visibilità” e più verità, dove il silenzio non è vuoto ma spazio per ritrovarsi. Da un cammino che non ha bisogno di chilometri per essere vero, ma che nella scelta — e non nella fuga — trova il coraggio di ricominciare.
Perché partire non è scappare. È decidere di ascoltarsi, di fare spazio, di tornare interi. E forse proprio lì, tra le braccia di un tempo finalmente nostro, ci accorgeremo che il dio delle piccole cose non ci ha mai lasciati. Ci aspettava, paziente, come fa la verità.
Foto di Guzmán Barquín su Unsplash