PICCOLE STRATEGIE CONTRO GLI STEREOTIPI E I PREGIUDIZI

Il formatore può agire sui propri schemi mentali ricorrendo a degli strumenti e strategie utili per andare oltre a ciò che può bloccare l’incontro con i formandi.

Nella puntata precedente

Nell’articolo precedente abbiamo introdotto il tema degli stereotipi e dei pregiudizi nella formazione (https://www.agoformazione.it/2023/09/22/pregiudizi-e-stereotipi-nella-formazione-i-rischi-del-formatore/), mostrando già un’apertura verso possibili soluzioni, riscoprendo due atteggiamenti tipici dell’educazione: l’intenzionalità e il fare epochè.

In sintesi per riprendere il discorso

Ti sarà ormai chiara la differenza tra stereotipi e pregiudizi: i primi intaccano la sfera emotivo-personale dell’individuo e il suo pensiero personale di fronte a determinate persone o cose, mentre i secondi intaccano una dimensione cognitiva, e il pensiero condiviso e infondato ad essere alla base dei luoghi comuni.

In questo articolo vorrei segnalare due momenti che mettono a rischio l’efficacia della nostra azione formativa e darti tre semplici azioni per provare ad andare oltre.

Il momento prima della formazione: per fare i conti con sé

Nella formazione esiste un tempo che è prima, composto da ciò che ci porta al momento in cui incontreremo le persone in aula (o nel luogo che ospiterà la nostra azione formativa). È un tempo dove ci facciamo un’idea della tipologia di persone che incontreremo. Prendiamo come esempio una formazione per un gruppo di giovani animatori.

È uno stereotipo pensare che tutti i giovani siano fannulloni senza valori, senza interessi. Pensiamo cosa può voler dire arrivare ad un incontro formativo con una visione di questo genere. In maniera subdola e non fondata, la nostra mente ci spingerà a notare tutti quegli elementi che confermano il nostro pensiero. Oppure immaginiamo di dover incontrare degli amministratori delegati: il tuo pensiero di partenza potrebbe percepirli come dei tiranni, che spremono al massimo i loro dipendenti per arricchirsi sempre di più, senza badare al loro benessere.

Un altro stereotipo potrebbe farci pensare che tutti gli insegnanti della scuola pubblica non abbiano voglia di sperimentare o mettersi in gioco nella formazione, perché partecipando a tanti corsi spesso risultano apatici alle proposte. Come procederebbe l’incontro formativo con questi presupposti?

Durante la formazione: di fronte al gruppo i nostri schemi mentali ci parlano

Esiste poi il durante dentro i nostri momenti formativi, in cui il pregiudizio può giocare una parte importante sulla base della percezione che ci facciamo dei formandi.

Quando siamo di fronte al gruppo o al singolo la nostra mente può essere catturata per diversi motivi da ciò che vediamo e può essere condizionata da ciò che percepisce:

  • Estetica: in una platea variegata di persone, c’è chi rappresenterà dei canoni estetici per noi più influenti rispetto ad altri e questo potrebbe portare a focalizzarci su alcune ed escluderne altre;
  • Interventi: potremmo trovare persone che intervengono spesso nel corso dell’incontro formativo. Questa situazione può portare il formatore a due derive: vedere in quella persona una certezza nell’essere ascoltato e lasciare che diventi un discorso a due escludendo le altre che si sentiranno fuori dai giochi; oppure prenderne le distanze ed escluderla, perché i suoi interventi vengono percepiti come una minaccia, che va ad intaccare il percorso da noi costruito;
  • Mutismo: Per alcuni formatori avere di fronte delle persone che fanno fatica ad intervenire può scatenare l’effetto del discorso a due, dove tutto lo sforzo del momento formativo diventa riuscire a far esprimere la platea, mentre in altri casi semplicemente ci si dimentica della loro presenza e si tende a escluderli, pensando che non abbiano nulla da dire. Ma noi siamo lì per tutto il gruppo.
  • Disturbo: se alcune persone commentano tra loro mentre il formatore parla, quest’ultimo può assumere un atteggiamento di contrapposizione (anche involontario) nei confronti di chi parla, oppure potrebbe perdere il filo del discorso perché preso dal pensiero di chi in quel momento sembra non seguire.

La casistica dei fattori che possono scatenare in noi il pregiudizio può essere veramente ampia e particolare per ciascuno, in base al proprio bagaglio personale.

Tre consigli per andare oltre

Ma come superare le situazioni in cui mi accorgo che qualcosa nella mia azione formativa non sta andando per il meglio, perché mi sento in qualche modo “disturbato”?

Prendi tempo:

In un’epoca dove tutto corre veloce sembra quasi una bestemmia chiedere a qualcuno di prendere tempo. Eppure il tempo è una chiave fondamentale in questi casi. Si prende per capire cosa ti sta accadendo, cosa ti infastidisce dell’altro, cosa attira la tua attenzione, ma allo stesso tempo per osservare meglio anche tutto ciò che non ha catturato al di fuori. Significa capire cosa ti ha colpito esteticamente di una persona rispetto ad un’altra, ma anche cosa emotivamente si sta muovendo dentro di te. Occorre riconoscerlo perché possa riuscire a staccarti quando serve, concentrandoti su tutta la platea.

Concentrati sul messaggio:

Spesso nei formandi a parlare è la loro emotività, il vissuto, il carattere, che non sempre consente di esprimersi al meglio, e rischia, per una modalità di comunicazione errata, di mandare in fumo anche il pensiero, nonostante le più buone intenzioni (parlare in pubblico non è una cosa facile per tutti). Concentrati su ciò che la persona sta cercando di esprimere o che non riesce a dire, cercando anche con domande dirette di aiutarla a farsi comprendere e a valorizzarsi.

 

Un esempio concreto

Una volta mi è capitato di avere a che fare con una persona che ha cercato di mettermi alla prova con interventi e domande, perché molto più grande di me e decisamente più esperta nel suo campo di servizio. Come prima percezione, ho riconosciuto nell’atteggiamento di chi interveniva, quello di chi non avesse nulla da imparare perché aveva già visto tutto nella vita. Il rischio per il formatore è quello di rispondere a tono, avere un confronto a due, con conseguente perdita del filo sul tema, ma ancora più grave, con la perdita dell’intero gruppo. L’atteggiamento da assumere doveva essere diverso, in ascolto della mia emotività, ma come trampolino per un rilancio.

Ho cercato di rileggere ciò che la persona portava all’attenzione con una nuova luce, in maniera che fosse utile per tutti, anche negli aspetti contrastanti rispetto al tema e al percorso da me sviluppato. La frase esempio è stata questa: << vedete, quello che ha espresso Giacomo è un rischio che noi tutti possiamo correre se ci facciamo prendere troppo dall’entusiasmo del fare, pensando che non ci possano essere delle complicazioni lungo i progetti che sviluppiamo. Noi progettiamo per considerare diverse variabili, in modo da non cadere quando si presenteranno eventuali complicazioni date dal contatto con la realtà. Il bello e il brutto di progettare è che non sempre possiamo tenere in mano tutte le situazioni possibili. Mi sembra però opportuno sottolineare per tutti, come questo intervento ci abbia permesso di scendere maggiormente in profondità su cose che potevano essere scontate e invece sono le principali cause di problemi in fase di progettazione>>.

Cosa ho ottenuto? In primis l’attenzione della platea che può beneficiare dell’intervento; ho accettato il confronto costruttivo con chi interviene senza escluderlo; ho arricchito il momento formativo con degli accenti diversi, ho mantenuto il percorso sui binari del tema, ho cercato di valorizzare chi ha espresso opinioni divergenti. Perché l’ho fatto? Perché quella persona ha realmente arricchito il momento formativo. Al di là della modalità scelta, il messaggio che portava con sé era importante e utile per tutti.

Poni delle domande e raccogli dati

Esiste un modo per superare un pregiudizio nei confronti di qualcuno, ovvero recuperare informazioni che smentiscano quell’opinione negativa.

Conoscere meglio l’altra persona aiuta a demolire “l’inganno” che la nostra mente mette in atto quando un pregiudizio prende forma, sfuggendo al tentativo di “catalogare” il mondo mentre lo conosce.

Essere formatori significa accostarsi ai formandi, specie a chi ci ha colpito meno o a coloro che hanno toccato in qualche maniera la nostra sfera emotiva, per tentare di conoscerlo meglio. Lo possiamo fare anche in gruppo, per esempio con un giro di presentazioni, soffermandoci con domande aggiuntive di tanto in tanto, stando sempre attenti a non trascurare gli altri componenti. Puntiamo sempre al coinvolgimento e alla partecipazione del gruppo per intero nei momenti formativi. Per domande più approfondite ci saranno i momenti di pausa, ma anche i momenti prima dell’incontro e al termine. È un atteggiamento che produce del bene nei formandi, è un atteggiamento che, se allenato, non può che arricchire anche il formatore e il suo stile formativo.

 

Manuel Carboni

 

Foto di Hassan Pasha su Unsplash