ESSERE PRESENZA

Un’esperienza scolastica intensa e trasformativa in cui, grazie alla proposta inaspettata di uno studente, la visione condivisa di una serie TV diventa occasione per riscoprire la scuola come spazio di verità, ascolto e crescita autentica.

Lasciarsi sorprendere

“Prof. posso proporre ai miei compagni una serie tv?”.

Inizia così la mia scoperta della famosa serie Tv Adolescence. Ne avevo sentito parlare, ma non avevo ancora trovato il tempo di guardarla. È M. il mio Virgilio in quest’avventura, mio allievo di una classe quinta, molto timido e introverso. In cinque anni ha sempre avuto un atteggiamento schivo e dimesso, non ama esporsi, rifugge la condivisione e fatica a mettersi in gioco.
Accolgo con gioia e stupore la sua proposta ed inizia così il mio viaggio attraverso questa serie.

Che sapore ha la verità?

M. sceglie di partire dal dialogo fra la psicoterapeuta e il protagonista, Jamie.
Mi sorprende subito la scelta stilistica del piano sequenza, una lunghissima scena che lascia lo spettatore in apnea e il dialogo è una vera e propria coreografia fra il dentro e fuori dalla stanza del colloquio, uno scambio fra i due attori che intreccia passato, presente e interiorità e fisicità.
Le domande sono incalzanti e taglienti, sono così vere che feriscono, spezzano le quinte del palco su cui ci si esibisce quotidianamente e ti lasciano nudo senza alcun paravento dietro cui nasconderti.
Alla fine della visione tutta la classe resta muta, non ha parole sufficienti per commentare questo scambio, io rimango attonita quanto loro, lascio risuonare questo silenzio gravido di inquietudine e timore. Solo uno di loro con una flebile voce chiede di non proseguire con gli altri episodi nelle prossime lezioni, senza spiegare la ragione della sua richiesta.
Intanto chiedo a M. di spiegare il motivo che lo ha spinto a fare la proposta. Con parole incerte e balbettate dice che questo scambio lo ha toccato profondamente, che lo ha fatto molto riflettere.

Travolti dal flusso

La scelta narrativa della serie rispecchia il nostro modo di vivere. Anneghiamo nella mole di informazioni che ogni giorno riceviamo, diventiamo turisti della quotidianità senza viverla mai davvero e le relazioni dematerializzate rendono il nostro io fugace ed irreale.  L’identità umana ha bisogno di incarnarsi, di radici forti a cui aggrapparsi e di nutrirsi di realtà per crescere sana e forte.
L’online ci ha abituati ad un non-corpo, ha sospeso la narrazione dell’io per lasciare spazio alla spettacolarizzazione della marionetta che ci siamo costruiti, quel fantoccio che ci serve per sopravvivere ma che in realtà rimane intrappolato nel flusso della rete. Ma cosa accade quando il sé in formazione non è più ancorato alla sua originalità e affonda nel mare dell’anonimato? Ci si perde e si disperde l’identità e l’essenza del nostro io.
Si può ripartire solo dalla “carne”, dalla presenza, ed è questa la ragione per cui M. porta la serie in classe, ha sentito il bisogno di dare forma e spazio all’eco del vuoto che la serie aveva risvegliato.

Attracco sicuro

L’adolescenza è il tempo della tensione verso la pienezza, verso il pieno compimento, le certezze si sgretolano per fare spazio a nuove basi su cui costruire la propria persona. In classe descrivo sempre questa fase di vita come l’attraversamento del mare, da un lato la riva dell’infanzia, che si abbandona per raggiungere quella dell’adultità, in mezzo, un mare in tempesta che si cerca di attraversare con gli scarsi mezzi a disposizione.
In questa traversata si ha bisogno ogni tanto di attraccare in piccole isole, una sosta dalla lotta con le grandi onde che insidiano la chiglia della nostra identità e la fanno vacillare.
Ma quali sono questi spazi sicuri? Credo che la scuola possa fornire piccoli atolli per prendere fiato dalla battaglia interiore che i ragazzi vivono, squarci di posa in cui respirare a fondo e sentirsi sicuri nel marasma della confusione che li abita.
È successo questo nella mia quinta, la nostra lezione è diventata un luogo in cui poter deporre le armi e provare a ricostruire piano piano il mosaico della propria persona.

Se anche la scuola crolla

Nella serie Adolescence si percepisce quanto sia importante per i giovani sentirsi visti, ascoltati e compresi, soprattutto quando fuori e dentro di sé tutto sembra confuso. Un mondo che si sgretola: il corpo cambia, le emozioni si fanno più intense e il bisogno di appartenenza si intreccia con la ricerca di autenticità. I ragazzi spesso si sentono esposti, vulnerabili, costretti a scegliere tra ciò che sono e ciò che gli altri si aspettano da loro.
L’istituzione scolastica rappresenta un presidio fondamentale, uno spazio in cui l’identità può essere accolta, riconosciuta e protetta. Quando la scuola riesce a promuovere il rispetto, l’ascolto e la libertà di esprimersi, diventa un alleato prezioso contro l’omologazione, il bullismo e il silenzio interiore. Diventa la cornice del puzzle identitario dove ogni ragazzo può iniziare a costruirsi, pezzo dopo pezzo, senza rinunciare a sé stesso.
Ma che succede se nemmeno la scuola riesce a rispondere a questo bisogno? Se anche l’ultimo avamposto di difesa della propria identità vacilla?

La sfida educativa

Nella serie Adolescence la scuola spesso si mostra incapace di proteggere, comprendere o anche solo vedere davvero il ragazzo. È un’istituzione distante, burocratica, che osserva ma non interviene, e che troppo spesso lascia gli studenti soli di fronte a pressioni, paure e conflitti interiori. Questo crollo simbolico della scuola – che smette di essere presidio educativo per diventare sfondo passivo – mette in luce quanto sia urgente ripensarne il ruolo.
Dallo stimolo datomi da M. è nata la proposta di un’attività che i ragazzi hanno battezzato come “Il cerchio della verità di fuoco”. Seduti in cerchio, al centro una sedia dove a turno tutti ci si siede, compresa la docente. Chi occupa il posto centrale riceve dagli altri un rimando sulla sua persona, è molto di più di un elenco pregi e difetti, ma è l’occasione per raccontare all’altro/a il nostro punto di vista e la relazione che nel tempo si è costruita, uno sguardo puro scevro dal giudizio, senza fronzoli e senza maschere. Solo verità, percezione e presenza.

Il cerchio della verità di fuoco

Quel cerchio diventa uno spazio sacro, uno spazio in cui la parola si fa cura e l’ascolto si fa dono. Chi siede al centro si espone, è vulnerabile ma accolto, visto davvero oltre il ruolo e oltre le apparenze. Chi parla, invece, si assume la responsabilità del proprio sguardo, del modo in cui ha abitato la relazione con l’altro. È un momento di sospensione, dove il tempo rallenta e ciò che conta è il qui e ora del legame.
Ogni rimando, ogni parola detta non è solo su “di lui” o “di lei”, ma anche su noi stessi: su ciò che ci ha toccato, che ci ha fatto crescere, su come l’altro è stato specchio o sfida. È un atto di restituzione, ma anche di riconoscimento reciproco. In quell’istante il gruppo si fa comunità, il singolo si fa parte, e la relazione prende voce.
E così, uno dopo l’altro, ognuno ci si mette al centro. E ognuno riceve non solo parole, ma presenza, attenzione, memoria. Si esce trasformati perché essere visti davvero è forse una delle esperienze più potenti e rare che possiamo fare.
Il nostro cerchio è diventato un rito di passaggio, un’esperienza di verità e connessione autentica.

Per tirare le fila

A partire dalla suggestione di M. ho visto tutta la serie tv e ho riflettuto profondamente sul ruolo della scuola nella società d’oggi. Credo che in un mondo spesso frenetico e superficiale, prendersi il tempo per guardarsi negli occhi, per raccontarsi e per ascoltarsi con intenzione, rappresenti un atto rivoluzionario.
Immagino una scuola dove si impara anche a conoscersi, a riconoscersi e a prendersi cura gli uni degli altri; dove l’emozione non è un ostacolo ma una risorsa didattica; dove ogni voce trova spazio, e il silenzio non è vuoto ma attesa e ascolto. La scuola del futuro è un laboratorio di umanità che non separa il sapere dal sentire, e che ha il coraggio di mettersi in gioco, proprio come gli studenti che ogni giorno la abitano.

 

Anna Desanso

Foto di Helena Lopes su Unsplash