Abbiamo bisogno delle Settimane Sociali

Sono stato a Trieste la settimana scorsa a vivere le Settimane Sociali. Per chi non lo sapesse sono un’iniziativa della Chiesa Italiana che si compie ogni 2 o 3 anni in una città italiana. In 117 anni della loro storia si sono compiute 50 Settimane Sociali.

Io c’ero e vorrei dirvi perché sono così importanti per tutti, cattolici o meno, e perché sono un modello da cui trarre delle buone prassi utili per ogni realtà.

La necessità delle tre vie.

Come funziona oggi una settimana sociale? Ci sono tre attori principali. La CEI, cioè la conferenza dei vescovi italiani, un comitato scientifico e i delegati delle varie diocesi. Traslando potremmo dire che erano presenti a livello simbolico: il comando, il pensiero, la vita quotidiana. Dico a livello simbolico perché è chiaro che ognuno degli elementi vive anche gli altri, ma principalmente ne vive uno. Parlando alle imprese direi che era presente la governance, la ricerca&sviluppo, i dipendenti.

Perché insisto su questo? Perché la prima cosa che ci insegnano le Settimane Sociali è proprio l’obbligo che queste tre vie si incontrino.

Pensiero senza vita ordinaria è asettico. Senza governance è inutile.

Governance senza pensiero è idiozia. Senza vita ordinaria è dittatura.

Vita ordinaria senza pensiero è vita da pecore. Senza governance è mediocrità.

In campo pastorale, la combinazione di questi tre elementi dà 3 elementi chiavi imprescindibili: sinodalità, discernimento, testimonianza.

Per ogni comunità quindi le Settimane Sociali sono un ottimo esercizio.

La necessità dell’incontro

Più di altre volte, questa Settimana Sociale è stata in piazza. È stato bellissimo incontrarsi, fermarsi, dialogare. Si sono incontrati i giovani con gli adulti, i vescovi con i laici, i famosi con gli emergenti. In una reale ottica di Bene Comune. E di normalità. Che bello poter avvicinare tutti, creare ponti, segnarsi numeri, dare appuntamenti. Certo, lo facciamo ad ogni fiera, ma questa è una “fiera” del bene comune, dell’impegno civile, del dialogo con la quotidianità messa a sistema. Si può parlare di POLITICA vera senza subito finire in schieramenti, come si può dialogare senza ansie per altro. Questo è il cuore: non è una settimana di incontri, ma una settimana in cui ci si incontra. I tanti incontri servono solo a questo.

La necessità della generatività abbondante

Questo è un punto consequenziale dell’altro. Visto che si fa perché non lavorare in modo che ci sia una ricaduta abbondante? Io sono andato perché parte di un gruppo particolare di cui vi dico dopo, quindi non ero delegato, né appartenente al comitato scientifico, né tantomeno vescovo. Ma c’ero. E c’ero perché si è pensato in una logica di generatività abbondante. Che cos’è? È quella cosa per cui se faccio un’azione mi chiedo delle sue conseguenze e la cambio perché sia più sostenibile. Sostenibilità non è semplicemente usare meno carta per fare una app (anche se è stato un passo gigante, grazie!), ma è pensare che se faccio un’azione che ha un impatto, perché non fare in modo che questo impatto generi più conseguenze positive?

Devo fare delle zone espositive delle varie realtà? E siccome sono in piazze diverse devo evidenziarle? Che cosa mi costa dare un senso alla collocazione? Ecco nascere il percorso dei cinque quartieri con cinque verbi che mettono insieme le buone pratiche che abbiamo in Italia. I cinque verbi diventano così l’augurio che le piazze, le vie, i corsi, i viali delle nostre città abbiano anche dei secondi nomi che indichino che cosa serve per rinsaldare la partecipazione: abbracciare, costruire, sognare, pensare, crescere.

Un buon esempio di generatività abbondante, che si può facilmente replicare, è questo esempio di comunicazione sociale.

Un meno efficace esempio è che questa bellissima idea non compare nel sito ufficiale e nell’app… per riscoprirla c’è questo articolo di Famiglia Cristiana, perché partecipare significa impattare nell’ambiente e cambiarlo in un’ottica migliorativa.

La necessità di osare

Le Settimane Sociali sono nate nel 1907 per rinvigorire l’impegno dei cattolici nella res publica. Peccato che sono gli anni del non expedit, cioè del divieto della Santa Sede di prendere parte alla vita politica in avversione ai Savoia e all’affronto dell’invasione di Roma.

Quindi nascono in un momento difficile. E nascono grazie a un grande uomo, un beato: Giuseppe Toniolo, economista, docente universitario, sposo, padre di 7 figli. Come a dire, che tutti davvero tutti possiamo portare un cambiamento.

Sono tempi difficili? Osiamo. Ci sentiamo che siamo pochi? Iniziamo.

Le Settimane Sociali fanno incontrare chi osa (le Buone Pratiche), fanno capire che non siamo pochi, ma che siamo nulla se non ci intrecciamo. L’incontro chiede l’osare delle alleanze. Ho sempre pensato che gli incontri non avvengano mai per caso, ma sta a noi decidere poi che cosa farne.

La necessità di tracciare un cammino

Quando sabato a ridosso del pranzo, mons. Renna, vescovo di Catania e Presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, ha iniziato il discorso sulle conclusioni, ho tremato. Si possono fare delle conclusioni così veloci? No. E per fortuna è stata la stessa risposta del vescovo e del comitato scientifico. Concludiamo dicendo i primi spunti, ciò che affiora, ma “aspettiamo il referto”, come si dice in gergo medico. Perché tanti dati vanno rielaborati.

Le conclusioni usciranno a settembre, e in un tempo del tutto, subito e a nessun prezzo, mi sembra una notizia decisamente positiva. Tutti vogliamo i miracoli e scappiamo dalla quotidianità; tutti vogliamo il cambiamento, ma degli altri; tutti vorremmo i guadagni senza investimenti. Se vogliamo riaccendere la democrazia e la partecipazione (questo il tema della Settimana) non possiamo pensare a una logica del tutto, subito e a nessun costo.

La necessità di camminare

Ovviamente, non possiamo neanche pensare di rinviare all’infinito, di non prendere mai decisioni. Chi mi conosce sa che ho sempre paura dei sinodi che ascoltano tanto e non decidono niente. Sinodo significa “camminare insieme”, ed implica necessariamente l’ascolto. Ma non è solo ascolto, altrimenti si chiamerebbe sinoto, cioè stesso orecchio. Sinodalità è anche prendere delle decisioni e avere il coraggio profetico di indicare una via e percorrerla. Attenzione, indicare una via, non una formula, non dei risultati. Una via. Perché sia la vita che il magistero dei santi, ci indicano che solo quando iniziamo a percorrere una via, scopriamo davvero dove volevamo andare.

E qui il passo dalle comunità cristiane alle comunità di lavoro è velocissimo: non basta fare riunioni per camminare insieme, serve esercitare la partecipazione. Altrimenti si continua a cadere in un errore tremendo: dire cosa fare, facendo l’opposto di quello che si sta dicendo.

La necessità di narrare

Perché ero a Trieste? Perché faccio parte del gruppo “Missionari digitali”. Il nome fa un po’ ridere… sia dentro la Chiesa (“Ah, ma sei diventato anche tu un influencer?”) sia fuori (“Ma guarda che siamo nel 2024, la missione è roba di altri tempi e di altre teste”).

Chi mi conosce sa che non sono un influencer, nel senso che non mi credo, che non faccio nulla per farlo e che non ho i numeri per essere riconosciuto tale. E chi mi conosce sa che, pur essendo un formatore teologo e pur prendendo spunto dal patrimonio culturale cristiano, non sono affatto un missionario dei tempi delle invasioni sudamericane.

E allora? Sono finito in questo gruppo perché mi è stato chiesto un aiuto per un progetto. Sono rimasto. Perché credo che il digitale sia una piazza, un mondo dove incontrare le persone. Mi sento missionario perché mi sento mandato e mi sento chiamato. Mandato da una voce che è nella mia storia, chiamato dalle persone che in modo diverso chiedono aiuto. Non mi sento migliore, mi sento qualcuno che condivide quello che ha, perché avendo ricevuto tanto, mi sembra il minimo restituire. Ne ho fatto il mio lavoro, e ne sono grato, ma so che bisogna continuare a dare… in un’ottica di generatività abbondante.

In conclusione

Ci siamo trovati a Trieste come gruppo, perché digitale e comunicazione fanno parte della democrazia e della partecipazione. Abbiamo raccontato, e continuiamo a farlo, le meraviglie che abbiamo visto e quello che si può migliorare. E anche questo è bellissimo.

Pensate solo che oggi, nella nostra community di AGO, tantissime persone che non sono state a Trieste, hanno potuto ricevere una riflessione, uno spunto per migliorarsi, in quella meravigliosa avventura che è il life long learning: apprendiamo per tutta la vita. Ogni giorno e in occasioni speciali.

Per questo ci sono le Settimane Sociali. Perché abbiamo bisogno di crescere anche con appuntamenti importanti.

Per questo serve narrare. Perché così lo straordinario entra nella quotidianità.

E tutto questo solo per un obiettivo: mollare gli ormeggi. Trieste, crocevia di popoli, città dalla storia non semplice, sul mare ma al contrario, ci chiede di mollare gli ormeggi. Può essere dura, ma non siamo soli e soprattutto ogni volta che è dura, c’è sempre una nuova meta verso cui salpare. Ne vale  la pena.

GG Cotichella