LA VOCE NELLA FORMAZIONE

L’elemento più presente e spesso più trascurato. Il teatro ci aiuta a viverla meglio, non solo come strumento, ma come eco dei nostri contenuti.

LA VOCE, AUTENTICA FOCE FORMATIVA

La voce è uno degli strumenti fondamentali nella formazione.
Il primo passo della trasmissione di un sapere, il primo nucleo formativo è qualcuno che parla a qualcun altro. La classica lezione frontale. Ma anche nei processi formativi che utilizzato piu l’attivazione o la rielaborazione dei vissuti, la facilitazione il coaching, il counseling, il tutoring, la voce fa da sostegno all’accompagnamento rendendo credibile ogni passaggio. Da qui l’importanza della voce e la necessità di lavorarci sopra.

Il mondo del teatro ha altrettanto al centro la voce e benché esista un teatro senza voce, il mimo, in realtà anche nel silenzio si vive una voce, perché in generale tutto il teatro è una forma di comunicazione che lavora sulla rappresentazione, che è un ricomunicare qualche cosa che si rielaborato, verso uno pubblico. La voce è un veicolo con cui trasportiamo i pensieri, i contenuti, ma anche le emozioni, i passaggi, e anche tutto il percorso stesso di apprendimento.

IL PRIMO AIUTO DALLA FONETICA

Come aiuta il teatro nel lavoro sulla voce? Lavoriamo sulla voce da piu diverse fonti. La prima che troviamo è la fonetica, che studia il suono in sé. Dalla fonetica prendiamo quattro dimensioni che sono il volume, il tono, il ritmo e il timbro.

Alza il volume!

Il volume è la quantità di suono. Più è alto il volume più si “sente”. Spesso nella formazione quando sì e troppo timidi dal fondo della sala si sente dire “Può alzare il volume?” oppure in maniera piu diretta e anche poco sensibile “Voce!”. Il volume è quindi fondamentale, anche se scopriremo che non basta alzare la voce per farsi sentire e per arrivare all’ultima fila.

Ma sei sotto tono?

Subito dopo c’è il tono, ossia l’altezza della voce. Siamo proprio in campo musicale: più la voce va in alto, piu diventa acuta, più la voce va in basso, più tende al grave. Le tonalità acute danno novità energie e entusiasmo però possono essere stridule e fastidiose, mentre le tonalità basse sono sicuramente calde, avvincenti ma possono dare noia e banalizzazione.

Vai con il ritmo!

Il ritmo invece è la quantità di parole emesse in un determinato tempo. Quindi, dobbiamo rivedere il nostro modo di dire: non si può non avere un ritmo! Il problema è se il ritmo è troppo lento o troppo veloce, se è monotono o se cambia spesso. Un ritmo veloce significa molta vivacità, fascino, ma anche stordimento, incapacità di seguire. Un ritmo lento da più calma e tranquillità, ma può arrivare ad annoiare. Alla base del ritmo c’è ovviamente la pausa, che ovviamente è positiva quando è voluta. La vera pausa non è non dire niente, la vera pausa è dire con il silenzio.

Firma e timbro

Arriva poi la parte fondamentale ovvero il timbro, che è difficile da spiegare in termini oggettivi, perché il timbro è il colore della voce. Il colore della voce è dato proprio dall’insieme delle dimensioni di prima. Un volume alto con un tono acuto e con un ritmo veloce è praticamente simile alla sfuriata, quindi, sarà un timbro che tenderà a creare delle avversioni o comunque delle forme di difesa. Un ritmo lento con toni bassi e volume basso, tenderà a dare fastidio per le capacità di comprensione e comunicherà che la persona non abbia nulla di interessante da dirci. Sul colore della voce mi viene in mente il bellissimo lavoro del compianto Ciro Imparato. Ti riporto questo schema che ci può aiutare:

I tuoi bambini non ti ascoltano? Impara ad usare “I COLORI DELLA VOCE”! - Giocando Imparo | Per bimbi da 0 a 6 anniCiro ha trovato sei colori della voce. Noi ne dobbiamo usare 4 ed evitarne 2, il nero (rabbia e conflitto) e il grigio (apatia e noia). Come vedi sono le dimensioni di prima, a cui Ciro ha aggiunto il “sorriso”, perché la voce ha sempre un corpo, per questo ai doppiatori o ai conduttori radiofonici viene detto di sorridere, o comunque di “interpretare”, perché il sorriso si sente. Se ti affascina il lavoro di Ciro Imparato questo è il libro di riferimento con la sua eredità: La tua voce può cambiarti la vita.

IL PUBBLICO TI INSEGNA LA VOCE

Ecco che allora si apre un altro mondo! Il teatro ti insegna l’uso della voce al di là della fonetica. Certo che la usa, ma va anche oltre. Due cose in modo particolare mi hanno aiutato, perciò te le riconsegno volentieri.

La direzionalità

Che cos’è? È la capacità di una voce di andare direttamente ad una persona. Possiamo dare alla voce una direzione, perché creiamo un rapporto con il pubblico. Proprio perché la voce ha un suo corpo, la direzionalità nasce quando la voce è seguita dallo sguardo. Se noi guardiamo negli occhi una persona mentre gli parliamo siamo più efficaci, cosi come se noi direzioniamo la nostra voce verso ultima fila o verso quella persona piu distratta, siamo più efficaci.
Ci si può allenare sulla direzionalità proprio lavorando indicando quale parte del discorso dirò ad una parte del pubblico e quale all’altra, o ancora a quale fila, a quale persona. Ovviamente devo evitare l’errore dello sguardo troppo eccessivo e quindi anche di una sensazione di non ascolto verso il pubblico. A forza di unire sguardo e voce, imparerò la direzionalità al di là dello sguardo, competenza necessaria quando uso un microfono. Quando parliamo al microfono il volume viene automaticamente alzato ma la direzionalità no, ed è proprio questo il lavoro da fare. La direzionalità è far capire per primo a chi ascolta che io sono interessato a lui ed è per questo che lui dovrebbe essere interessato a me.

L’aiuto dei personaggi

I personaggi ci aiutano a caratterizzare la nostra voce. Questo perché fin da piccoli ascoltiamo le voci di tantissimi personaggi, e possono davvero aiutarci nella formazione. Se sto spiegando un attivazione, un gioco, molto competitivo userò il personaggio del cronista, che ha un tono molto forte, veloce, ritmato, appassionato. Se invece leggo la citazione di un passo letterario userò l’impostazione del lettore. Sarò quasi un bugiardino, un annuncio da istruzioni quando dovrò dare un riassunto dei punti di quello che ho detto. E ancora diventerò l’amico o il vicino di casa, quando dovrò enunciare quali sono i problemi che mi hanno portato ad iscrivermi a quel corso.

IL MONDO DELLE STORIE

Già parlato dell’importanza della storia nella formazione. In effetti, tutte le tecniche di scrittura, lo storytelling, le narrazioni, ci aiutano davvero. Quando noi parliamo in pubblico, la nostra voce rivela anche le emozioni più nascoste. L’ansia da prestazione tenede ad ammazzare la nostra voce e la nostra comunicazione. La storia ci difende come uno scudo e ci rinforza totalmente pronti a un nuovo assalto comunicativo. Se infatti non possediamo la storia, il nostro cervello tende ad mettere suoni inutili, perché percepisce il silenzio come errore.

Il dramma degli intercalari

Quali sono questi errori? Sono essenzialmente due e nascono dall’idea di tranquillizzare il nostro cervello dicendogli: “Sto emettendo un suono quindi all’esterno nessuno sta capendo che sto cercando le parole giuste”. In realtà danno ancora più fastidio, per questo sono errori.
Il primo è l’allungmaento delle finali, quando tendo ad allungare una finale perché così copre il silenzio tra una parola e l’altra, quando cerchiamo le parole da dire.
Il secondo è il gruppo degli intercalari, ovvero quelle parole dette per coprire il silezio. Possono essere di senso compiuto come “cioè, allora, quindi”, oppure onomatopeici come “ehm, mmm, tse”.

La forza della punteggiatura

Quando possediamo la storia, evitiamo gli errori di sopra, ma questo non basta a conquistare un pubblico. Serve colorare la storia e il metodo migliore è usare la punteggiatura. La punteggiatura è qualcosa che va oltre lo scritto, è profondamente legata alla comunicazione. Il terzo assioma della comunicazione della scuola di Palo Alto dice: “La punteggiatura delle sequenze degli eventi definisce la relazione“. Che cosa significa? Che ognuno di noi dicendo qualcosa, crea le premesse per quello che verrà detto dopo. Basta pensare a una lite e tutto diventa molto chiaro. Ora questo avviene anche con la punteggiatura classica, che nel parlato si riflette in un misto di toni e pause. Prendi la frase: “Ti voglio bene”. Se mettiamo il punto alla fine, è una bella affermazione d’amore verso qualcuno. Se però, metto il punto in mezzo: “Ti voglio. Bene” diventa automaticamente un inno allo stalking!
La punteggiatura lavora moltissimo quindi sulla chiusura della frase, quando decidiamo come concludiamo con l’intonazione. Se  che la frase è chiusa, quindi, la frase tende a chiudere verso il basso non rimanere aperta verso il sospeso, o meglio verso un tono medio che però non indica repliche. Mentre invece un tono che dia l’idea del sospeso a metà tra un medio e l’alto fa intuire all’altro che vogliamo dire qualcosa e ovviamente se poi noi non diciamo niente da l’idea di sbagliato.

La rivoluzione dell’accento teatrale

L’accento teatrale è una tecnica di lettura. Consiste nel sottolineare una parola alzando di tono la sua lettura e inserendo poi una pausa. quindi, data poi una frase io posso dirla in tanti modi quanti sono i concetti chiave.
Ti faccio un esempio con la frase che mi ha cambiato la vita: “Tu non sai che io la domenica mattina lavoro”. L’ho sentita alle medie da una trasmissione televisiva. Alle medie ho mosso i primi passi nel che ho sentito da un documentario una volta mentre facevo teatro alle medie e veramente ha dato colore. La persona che presentava questa frase diceva in modi diversi sottolineando ogni volta una parola diversa: “forse”, “tu”, “non sai”, “io”, “la domenica”, “la domenica mattina”, “lavoro”. L’importante è sempre leggere tutto il pezzo prima dell’accento a tono unico e senza pause, alzare il tono sul finale della parola sottolineata e mettere una pausa dopo. In questo modo impariamo a dare colore alle parole e alle frasi, lavorando già su delle modalità della voce, ma senza avere chissà quali impostazioni tecniche. Io a quel tempo muovevo i primi passi nel teatro e quel gioco ha svoltato il mio parlare in pubblico… e se me lo ricordo dopo 37 anni qualcosa significa, no?

…e alla fine?

Vedere i tanti aspetti della voce, ci pemette di conoscere i tanti campi di lavoro per migliorarla. Se siamo formatori non possiamo non lavorare con la voce e sulla voce. Il teatro in questo ci aiuta e se vuoi un po’ di lavoro da fare sulla voce ti consiglio la pagina youtube di Enrica Barel. Troverai una marea di esercizi per migliorare i diversi aspetti della voce.
Buon lavoro.

Gigi Cotichella