SERENDIPITA’ A SCUOLA

Serendipità – scuola: binomio possibile?

La possibilità di cercare un binomio tra “serendipità” e scuola, con uno sguardo attento e critico, alla ricerca di strumenti per la reciprocità.

Sono appassionata di parole, di etimologia e di lingue in generale.
Lo sanno bene i miei studenti che “torturo” quotidianamente sul significato profondo delle parole, perché credo che nulla debba essere scelto per caso, anche un solo fonema può cambiare il senso di un’intera frase.
La parola che ha accompagnato le mie riflessioni di questo inizio anno è serendipità.
Cosa accadrebbe se fossimo più propensi ad accogliere il coefficiente di serendipità dei nostri allievi? Il nostro sistema scolastico è in grado di lavorare fuori dagli schemi?

La sua origine

La genesi di questa parola ci conduce fino al Serendip, l’antico nome persiano dello Sri Lanka. Un viaggio attraverso l’oceano Indiano che ha come guida la fiaba persiana “I tre principi di Serendippo”. Tradotta in italiano da Cristoforo Armeno, racconta le fortunate scoperte dei tre protagonisti grazie alla loro astuzia, intuizione e grande spirito di osservazione. Dobbiamo, però, la paternità di questo vocabolo ad Horace Walpole che lo utilizzò la prima volta nel 1754 in una lettera ad un amico per indicare una favolosa scoperta non prevista.
Successivamente fu il sociologo Robert Merton ad usare quest’espressione. Serendipity indica un vero e proprio metodo di ricerca scientifica, che osserva manifestazioni positive che hanno ricadute inaspettate. Oggi la troviamo un po’ in tutti i campi: letteratura, economia, cinema, arte, etc..

Una storia per capire

Lo scorso anno ho lavorato in classe sulla serie tv “Strappare lungo i bordi”, la prima serie animata del fumettista Zerocalcare (al secolo Michele Rech). Insegno religione e la mia più grande sfida è dimostrare che ovunque esistono tracce di Dio. Anche in un luogo così ameno come una serie tv dai tratti nichilistici, si possono scorgere momenti di verità in cui Dio parla all’autore. La storia ruota attorno ad un viaggio che Zero, il protagonista, deve fare con i suoi storici amici Sara e Secco. Non si comprende fino alla fine la destinazione ultima, ma è chiaro fin da subito che il vero cammino che stanno percorrendo i protagonisti è la strada che porta verso l’esplorazione di sé e del senso della vita.

L’immagine che apre il primo episodio riporta la frase “E’ inutile che vivi fuori se muori dentro”. Un monito a guardarsi in profondità e smettere di vivere in superficie. Mi fa pensare all’incontro fra Gesù e il giovane ricco. Anche Zero è alla ricerca “della vita eterna”.  Anche lui è convinto che esista un percorso tracciato, fatto di tappe precostituite, di comandamenti da seguire e di indicazioni che per direttissima ti conducono verso la felicità. Credo che anche Gesù avrebbe potuto usare questa frase con il giovane che gli domandava la via giusta da intraprendere per la beatitudine. Lui e Zero hanno in comune la fuga dalla verità e l’obbedienza alle proprie paure. Sono alla ricerca di un’utopica quiete, hanno l’idea dello stare buoni, fermi, tranquilli, non riescono a fare il salto nell’età adulta, che significherebbe abbandonare vecchie convinzioni, ristretti orizzonti e rassicuranti rifugi.
Zero e il giovane ricco sono l’emblema dei nostri allievi, inseriti in una costante competizione, tipica della nostra società performante, all’interno della quale non si sentono mai all’altezza, sono alla smodata ricerca del successo e della fama, completamente assenti all’appello del desiderio sulla propria esistenza. La cultura che ci troviamo ad abitare è arida, spettacolarizza violenza, guerre e malattie, non offre via di cambiamento, è la cultura del controllo e dell’immobilismo, del “si è sempre fatto così”.

La scuola ha una responsabilità in tutto questo?

Personalmente credo proprio di sì. Da decenni il sistema scolastico schiaccia i giovani, ferisce la loro vitalità e creatività, li costringe ad obbedire ad un sistema in cui non c’è spazio per la libera espressione di sé e del proprio talento.
I dati Istat parlano chiaro: in Italia la spesa per l’educazione è al di sotto della media europea. Siamo l’ultimo paese dell’Ue per la spesa pubblica a favore dell’istruzione. Vogliamo parlare della formazione degli insegnanti in ambito psicopedagogico e della loro motivazione?
È una spirale: poco investimento a livello istituzionale, pochi incentivi a livello professionale e personale per i docenti e un vero “deserto cognitivo” per i discenti, che soffrono di ansia da prestazione per la quantificazione del sapere.
Esiste una via d’uscita?
Credo che la serendipità possa essere l’ingrediente segreto necessario ad una nuova ricetta per la scuola.

La serendipità come stile educativo

Si parla da anni di didattica alternativa, declinata nelle varie forme di flipped class, cooperative learning, peer education, problem solving, spaced learing e role playing.
Tutti metodi assolutamente validi, ma che da soli non bastano a cambiare lo sguardo sullo studente.
Si continua ad avere un orizzonte unidirezionale, dove gli allievi continuano a rimanere dei “contenitori da riempire” e dove non esiste un vero e proprio scambio formativo. Davvero i ragazzi non hanno nulla da insegnare a noi adulti? Pensiamo sul serio di non avere più nulla da imparare?
Io da anni condivido e stilo il mio programma in base alle loro richieste e mi lascio guidare dalle loro suggestioni. Tutti i giorni ripeto che sono loro i miei più grandi maestri perché mi obbligano costantemente a mettermi in discussione.
Senza di loro non mi sarei mai appassionata ai social e alle nuove provocazioni della media education che, oggi, costituisce un nucleo fondamentale del mio insegnamento.
Il serentipity style mi fa venire in mente il mito della caverna di Platone, perché è un percorso in salita, di battaglia con se stessi e con gli altri, uno sguardo che si deve allenare ad una nuova luce da gettare sugli studenti, che non sono più solo discenti ma diventano guide e mentori capaci di direzionare il percorso del tuo insegnamento con scoperte positive e sorprendenti.
Sono ruoli che si alternano e che si scambiano continuamente, dove l’adulto rimane sempre il punto di riferimento ma è pronto ad un’esplorazione diversa e pioneristica del proprio sapere.

La serendipità come apprendimento

“Prof la scuola mi annoia!”
Questa è l’affermazione comune al 90% degli studenti.
La noia e la scuola dovrebbero essere diametralmente opposti, dicotomici e distanti, in quanto luogo che fa fiorire vocazioni e conduce gli esseri umani verso la pienezza di vita.
Le neuroscienze confermano che l’apprendimento è proporzionale all’interesse e al divertimento, quindi noia uguale a non apprendimento, oppure apprendimento parziale.
I dati parlano chiaramente di analfabetismo disfunzionale, nel marasma di informazioni in cui ci troviamo immersi, bombardati da opinioni diverse e inabissati nel bisogno di appartenenza e approvazione non abbiamo più una direzione. I nostri studenti non sanno più chi sono e faticano a dare una lettura del mondo che li circonda e degli altri, sono incapaci di usare le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni quotidiane, non riescono a codificare il mondo.
Hanno confuso il mare in cui navigano con la destinazione, come se Cristoforo Colombo avesse vissuto l’oceano come la sua meta, come se l’acqua invece che il mezzo che lo separa da una scoperta diventasse il suo punto d’arrivo. La scuola è una strada, il mezzo che conduce alla realizzazione di un sogno, non può essere vissuta come il destino ultimo di ogni studente.
Tutti noi abbiamo una destinazione verso cui stiamo camminando, confondiamo spesso questo destino con una trama già scritta. Spesso lo facciamo coincidere con un diploma o una laurea, invece la vocazione è profondamente legata alla libertà. Siamo noi a decidere come andrà questo viaggio, siamo noi a fare le nostre scelte, siamo liberi di decidere le coordinate della nostra traversata.
Spesso paragono la scuola al cammino di Santiago di Compostela, dove il punto di arrivo dello stesso non è il Santuario di San Giacomo, ma è il cammino stesso la meta, dove messo alla prova dalla fatica, dalle intemperie e dal confronto con gli altri scopri te stesso/a.
Torno ancora a Zero, il protagonista di “Strappare lungo i bordi”. Questo personaggio è l’emblema dell’uomo contemporaneo: fugge continuamente da decisioni risolutive sulla sua esistenza, fa continui confronti con la vita degli altri, si sente sbagliato perché vede gli altri perfetti, riappacificati e realizzati, è convinto che esistano strade tracciate da seguire senza mettere in campo la creatività, l’ostinazione e la speranza.
Nella Bibbia troviamo una storia simile, è il libro di Giona. E’ la storia di un uomo a cui viene rivelato il suo destino e lui scappa nella direzione opposta. La nostra libertà è chiamata a scegliere qualcosa in favore del nostro destino. Avere una vocazione non significa non conoscere la meta, ma avere la consapevolezza di averne una e vivere credendo che esista un motivo che ci compie pienamente, che fa noi esattamente noi.

In conclusione?

Consapevolmente non si può lavorare direttamente sulla serendipità, ma serve costruire un ambiente che valorizzi l’unicità e l’originalità dei singoli, capitalizzandola come esperienza condivisa. È necessario essere attenti a cogliere il potenziale degli studenti, spesso nascosto e non riconosciuto. È fondamentale per generare situazioni virtuose che creino un clima generale positivo e di fiducia.
Ma vediamo quali potrebbero essere le indicazioni pratiche per una scuola in serentipity style :

  1. Allenare il pensiero laterale. È la capacità di uscire dal classico pensiero logico per sviluppare una capacità riflessiva più articolata che abbracci emozioni, intuizioni e sensazioni.
  2. Sostituire la competizione con la cooperazione, valorizzando l’irrepetibilità di ciascuno, mettendo in risalto “l’essere unico” di ciascun allievo.
  3. Condurre gli studenti verso una scuola più esplorativa che contempli l’imprevisto e sostenga la pedagogia dell’errore, abbandonando un’ideale di perfezione.
  4. Esercitare l’intelligenza emotiva per dare spazio al mondo interno di ciascun discente, permettendo di entrare in contatto autentico con se stessi.
  5. Introdurre materie “inutili” come arte, teatro, musica in ogni grado di scuola, senza “un utile” immediato che sia quantificabile a livello prestazionale, ma che permetta un reale sviluppo di competenze trasversali.

Il progetto di una scuola in questo stile è ardito e ambizioso. Non ci resta che salpare per le Indie disposti, però, ad incontrare l’America. Consapevoli che qualunque viaggio «È sempre trionfo dell’improbabile e miracolo dell’imprevisto» (Henri-Marie de Lubac).

Anna Desanso

Foto di Element5 Digital su Unsplash

One thought on “SERENDIPITA’ A SCUOLA”

Comments are closed.