TRA MEMBERSHIP E GROUPSHIP

Lavorare in gruppo non è sempre facile, perché dentro il gruppo portiamo i nostri bisogni e le nostre aspettative. Il gioco da tavolo può facilitare il team building in molti modi.

Il ruolo delle relazioni in ambito lavorativo

Le dinamiche relazionali che si possono osservare in un gruppo di lavoro, sono talmente tante e varie che non basterebbe studiare centinaia di libri sulla questione per avere un quadro esaustivo e chiaro. Diverse sono le persone, infatti, e altrettanto diverse sono le tipologie di relazioni che si instaurano tra loro, soprattutto quando si tratta dell’ambito professionale. In pratica l’ambiente di lavoro può essere visto come un luogo in cui si incontrano/scontrano le alterità, generando interazioni e relazioni che possono risultare benefiche e/o tossiche, a seconda dei tanti fattori che si intersecano.

Terminologie a confronto

Qualcosa che si manifesta sempre, ed è alla base di due processi distinti, è una tensione particolare tra quella che viene chiamata membership e quella che viene chiamata groupship. Per capire bene la differenza, e le importanti implicazioni che si creano tra esse, è utile fare un micro excursus storico dell’organizzazione aziendale.

Un po’ di storia

In pratica il secolo scorso è stato molto importante dal punto di vista dell’organizzazione aziendale del lavoro: ha visto lo sviluppo esponenziale della produzione di massa, la nascita di periodi storici di benessere diffuso soprattutto in occidente, di conseguenza, una attenta riflessione al lavoro degli operai. Tra tanti modelli nati in quegli anni, due in particolare hanno fatto scuola: il Taylorismo e il Fordismo. Alla base di questi modelli vi era un’attenzione quasi maniacale per l’organizzazione scientifica del lavoro, tralasciando però chi si dovesse occupare del lavoro stesso, ossia l’operaio. I bisogni del mercato e dell’azienda erano prioritari e i primi cambiamenti si videro nel dopoguerra, quando si fece strada il Toyotismo. Quest’ultimo si occupò sempre del lavoro in catena di montaggio, ma approcciandosi in modo diverso alla produzione, parcellizzando i processi di lavorazione nei singoli movimenti costitutivi in cui venivano assegnati tempi standard di esecuzione.

Infine si fece strada il post fordismo dando il via ad un sistema industriale che dagli U.S.A. si diffonderà poi in tutto il mondo che permetterà di produrre su larga scala una serie di prodotti standardizzati.

Siamo tutti connessi

Ma tra l’inizio e la fine…in mezzo c’è LEWIN.È grazie a questo psicologo tedesco se, nel bel mezzo del trionfo capitalista, l’attenzione si è allargata dal processo produttivo a chi lo attiva e lo porta a termine: l’operaio e i gruppi di lavoratori. Oggi sembra assurdo sottolineare una tale considerazione, ma negli anni cinquanta non lo era affatto. Fu Lewin ad essere tra i primissimi a voler studiare le implicazioni del lavoro non solo sulla produttività, ma proprio sulla vita dell’operaio e dei gruppi di lavoro. Da questi studi nacque la sua “teoria del campo di forze”, descrivendo come i comportamenti del singolo e dei gruppi in un ambiente di lavoro dipendono da molti e complessi fattori che sono tutti collegati tra di loro, interdipendenti, agendo concretamente anche sulla produttività finale.

Questo campo di forze possiamo immaginarlo come una di quelle imbracature che si indossano quando si fa bungee jumping su un tappeto elastico, per esempio. Quelle corde ci ancorano, ma ci danno anche una certa libertà di movimento all’interno di un campo, e tirano in base a tanti e diversi fattori. Le corde, parafrasando, quindi possono essere persone, interessi, bisogni, imprevisti, ingerenze, malattie e tantissimi altri fattori. In questa complessità emergono in particolare due ‘corde’ importantissime e che condizionano non solo la vita di ogni singolo lavoratore, ma anche dell’azienda stessa: le già citate membership e groupship.

Due facce della stessa medaglia, iniziamo con la parola membership

Membership è la fusione di due termini: member dal latino membrum (corpo, persona) e ship, inteso come “rapporto tra”. Il significato che assume, quindi, è quello di appartenenza ad un gruppo di persone, in un particolare contesto: può essere un’associazione, un club, un gruppo di lavoro, ecc. Questa appartenenza lega le persone e i gruppi in una relazione ufficiale e reciproca, con tanto di riconoscimento formale: essere il membro di un gruppo, di una istituzione, comporta dei privilegi e dei doveri. I privilegi danno una risposta ad una certa categoria di bisogni, mentre i doveri mantengono l’equilibrio con le altre persone.

Nell’azienda e nei gruppi di lavoro la membership rappresenta il privilegio di soddisfare dei bisogni personali fortissimi, come per esempio avere uno stipendio, avere un ruolo riconosciuto, creare legami con altre persone, fino a quelli più comuni come avere l’auto aziendale, sconti ed agevolazioni per alcuni acquisti, ferie, ecc. Insomma tutto quello che può giovare a fare parte dell’organizzazione stessa.

Passiamo alla groupship

La groupship, invece, sottolinea l’importanza dell’essere parte integrante di un gruppo, oltre all’idea di appartenenza. Rappresenta, infatti, un’esperienza condivisa e sinergica in cui i membri di un gruppo lavorano insieme in modo armonico, coeso e collaborativo verso un obiettivo comune. Il concetto di groupship, quindi, mette in luce l’importanza dell’interazione, della connessione e della coesione tra i membri: rappresenta la qualità delle relazioni e della collaborazione all’interno di un gruppo, andando oltre la semplice appartenenza.

Riepilogando, quindi, la membership è quel senso di appartenenza ad un gruppo, vista come possibilità di soddisfare dei bisogni personali; mentre la groupship è il riconoscimento anche dei bisogni degli altri, del gruppo e dell’organizzazione stessa. Queste due tendenze, queste due FORZE del campo di ogni persona, più di tante altre forze, hanno bisogno di stare in equilibrio.

Tra membership e groupship…c’è di mezzo la leadership

L’equilibrio è fondamentale perché nel caso in cui una delle due forze dovesse prevalere nettamente sull’altra, come per l’esempio del tappeto elastico, la persona e/o il gruppo potrebbe fare una caduta rovinosa. Se la membership prevale sul bene comune del gruppo succede che i bisogni personali diventano assoluti, calpestando anche il lavoro e il diritto altrui. Al contrario, non rispettare mai i propri bisogni personali a favore dei bisogni del gruppo, dell’organizzazione, può mortificare la persona, con i suoi diritti e i suoi bisogni.

La soluzione sta sempre nel mezzo, come dicevano i latini. In questo senso è bene trovare un equilibrio tra queste due forze, presenti in ognuno di noi in modo naturale ed in ogni gruppo. Il focus, infatti, non è appiattire o azzerare queste due forze (necessarie ed utili), ma combinarle in un equilibrio che permetta alla persona di soddisfare sia i propri bisogni che quelli dell’organizzazione, negoziando e mediando di volta in volta.

L’arbitro di questo processo difficile quanto necessario è il/la leader, che con le sue competenze deve intercettare e rispondere a tutti questi bisogni. Per farlo efficacemente, negli anni sono nati diversi modelli e strumenti, ma anche in questo caso il mondo del gioco, e del gioco da tavolo, può dare una grande aiuto. Proporre con consapevolezza determinate esperienze ludiche può aiutare ogni membro del gruppo a riflettere e a ri-significare la percezione che ha sui propri bisogni e su quelli degli altri.

Per approfondire leggi il nostro articolo: La leadership del manager

Tanti giochi per il team building

Il gioco, è bene ribadirlo, non fa miracoli di per sé, ma crea le condizioni relazionali perché la leadership possa lavorare su determinati nodi relazionali, comunicativi e aiutare la costruzione del gruppo di lavoro, il team building. Con questa premessa ci sono diversi giochi utili per lavorare con i gruppi, toccando diversi filoni tematici importanti:

  • CONCEPT: questo gioco, puntando sul gioco di squadra, aiuta i giocatori nel processo di comunicazione efficace, nella negoziazione, nello sviluppo del pensiero laterale;
  • STORY CUBE: famosissimi e sempre utili per coinvolgere tutti i giocatori nella creazione di una narrazione condivisa, in cui le storie inventate possono diventare contenitori di idee, di emozioni, di sensazioni;
  • BUNNY HOPS: un gioco competitivo ma a squadre, dove i giocatori dovranno valorizzare i punti forza di ognuno per ottenere la vittoria. È davvero l’unione che fa la forza, in più fa ridere tantissimo;
  • MANTIS: un gioco competitivo che ad ogni turno chiede una SCELTA ai giocatori: fai una mossa per portare avanti i tuoi punteggi o cerchi di ostacolare gli altri giocatori? Un bel dilemma che può raccontarci tanto sulla percezione delle nostre relazioni;
  • EFFETTO MANDRIA: un gioco competitivo dove quello che ci fa vincere è “pensarla come gli altri”. Un gioco che può aiutare a smascherare stereotipi e pregiudizi legati a tanti ambiti della vita quotidiana e sociale.

E voi, ne avete provato qualcuno per lavorare con i gruppi? Raccontatecelo scrivendoci una email.

Antonio Di Lisi

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