QUINTA E SESTA LEGGE DEL PALCO

Eccoci alle ultime due leggi del palco: chiudono questo excursus che copre un po’ le basi della nostra comunicazione. Da quando calchiamo un palco vero e proprio a quando trasformiamo una parte di un pavimento in un palco. Ce le presenta Gigi Cotichella.

La quinta legge del palco

La quinta legge: due passi prima di entrare in scena sono già sul palco e due passi dopo che sono sceso sono ancora sul palco. Questa legge è chiamata legge delle quinte. È, infatti, una consapevolezza tipica di chi fa teatro che si rifaccia al modello classico o che usi i nuovi strumenti . Se ci soffermiamo su quest’ultima casistica è facile capire perché è buona prassi non parlare poco prima di entrare in scena e subito dopo che si è usciti: se indossiamo dei microfoni, infatti, serve darà ai tecnici il tempo necessario per spegnerli, staccarli, slegarli e/o scollegarli.

Facciamo un passo indietro

Questa regola tecnica prende origine da una legge fondamentale per chi calca un palcoscenico, la prima, secondo cui è fondamentale avere qualcosa dire e prepararsi al meglio per dirlo. L’attore quando porta in scena qualcosa che è altro da sé anche se, per assurdo, è un altro da sé che è collegato a sé: è la mia interpretazione che mi fa vincere l’Oscar, ma nell’interpretazione io posso mettere in scena una cosa completamente diversa da quello che farei fuori dalla scena. Questo richiede la consapevolezza di dire che sono io, ma non sono più io e quindi mi devo preparare a questo salto.
Nel campo della formazione questo equivale per esempio al capire e rivedere l’obiettivo formativo, al ripensare al tema e a che cosa davvero voglio portare quel giorno lì e a rendersi conto che in effetti il nostro modo di comunicare cambia da quando teniamo una formazione, una lezione, un incontro a quando torniamo alla nostra quotidianità: siamo sempre noi ma non siamo più noi.

Ma perché siamo sempre sul palco allora?

Dopo che abbiamo capito tutte queste cose, sporge spontanea una domanda. Ma perché quando usciamo dal palco dovremmo in qualche modo essere convinti a essere ancora sul palco?
Anche in questo caso, per trovare la risposta dobbiamo vedere una parte che viene dal mondo dell’arte, ovvero la coda del messaggio. Per comprendere di cosa si tratta possiamo pensare a quando i cori smettono di cantare: per lasciare bene la nota, infatti, non chiudono la bocca per non tagliere la coda del suono, farlo risuonare al meglio e lasciarlo chiudere da solo. L’essere convinti che due passi dopo sono ancora nel personaggio mi porta a uscire di scena come quel personaggio e, quindi, ancora al servizio della storia e questo è fondamentale.
In campo formativo questo si rispecchia nel credere che c’è un dopo alla prestazione formativa. Questo dopo lo troviamo in tutto quello che le persone fanno al termine della formazione o dell’incontro, quando qualcuno va a parlare con il formatore, chiede, si interessa o gli scrive nei giorni successivi.
In questa legge, inoltre, troviamo anche una dimensione quasi mistica, una sorta di camera di decompressione: dobbiamo passare da una cosa che ci ha in qualche modo posseduti a noi stessi e per farlo dobbiamo decantare, perché aver portato in scena momenti forti, al di là dei tecnicismi, riceviamo una botta emotiva non da poco. Anche per questo è bene non parlare di altro per non rovinare la coda finale.

La sesta legge del palco

L’ultima legge del palco dice “Se vuoi passare un messaggio, punta sul passaggio”. Questo significa che abbiamo bisogno di essere trasportati in un percorso di consapevolezza e di formazione nuovo.
Per questo abbiamo bisogno delle storie e dello storytelling, perché non ci basta semplicemente avere la soluzione. Serve entrare nel percorso che porterà alla soluzione stessa. Questo significa che nel campo della formazione, per passare un messaggio, bisogna pensare un percorso che parta da un livello dove questa consapevolezza non c’è e arrivi a raggiungerla.
Questa legge guida soprattutto nella stesura del testo, perché vale sia per la saga sia per il semplice incontro di un’ora o due. In entrambi i casi, infatti, si tratta sempre di costruire quel viaggio che parte da un punto e porta dove vorremmo arrivare.

In conclusione

Questa legge ci fa stare molto più in sintonia con il pubblico perché il pubblico che dice dov’è mentre noi diciamo dove vorremmo andare.

È quindi una legge che va contro la prestazione fine a sé stessa e l’ingenuità di non considerare l’incarnazione di ogni rappresentazione. Contro l’idea di essere arrivati quando in realtà siamo arrivati solo se con noi è arrivato anche il pubblico.

 

Gigi Cotichella

Foto di Simon H su Unsplash