Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di equilibrio vita-lavoro, di benessere organizzativo e di parità di genere. Tuttavia, un tassello fondamentale di questa trasformazione culturale resta ancora poco esplorato: il ruolo dei padri. La paternità non è soltanto un fatto privato, ma un tema sociale e, soprattutto, aziendale. Perché una cultura del lavoro che riconosce ai padri il diritto e la possibilità di esserci davvero nella vita dei figli è anche una cultura che promuove inclusione, responsabilità condivisa e innovazione organizzativa.
I numeri di una rivoluzione ancora in corso
In Italia, i neo-padri lavoratori dipendenti hanno oggi diritto a dieci giorni di congedo di paternità obbligatorio, retribuiti al 100%. Si tratta di un passo importante, frutto di un’evoluzione normativa che mira a “una più equa ripartizione della responsabilità genitoriale e a un legame precoce tra padre e figlio”. In caso di parto plurimo, i giorni diventano venti.
Eppure, la misura riguarda soltanto i lavoratori dipendenti, escludendo autonomi e professionisti iscritti alla Gestione Separata. Un limite che fotografa bene come, nel nostro Paese, la paternità resti ancora parzialmente “istituzionalizzata”.
Ciò nonostante, la consapevolezza cresce: i padri che usufruiscono del congedo previsto per legge sono passati dal 19% del 2013 al 64% del 2023. Un balzo che racconta di un cambiamento culturale in atto — lento ma reale — nel modo in cui gli uomini vivono la genitorialità e nel modo in cui le aziende la riconoscono.
Congedi e nuovi equilibri: le novità del 2025
La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto novità significative anche sul fronte del congedo parentale, destinato a entrambi i genitori. I primi tre mesi di congedo, se fruiti nei primi sei anni di vita del figlio, saranno ora retribuiti all’80% della media giornaliera, contro il precedente 30%.
Questa misura, ancora una volta riservata ai lavoratori dipendenti, può essere suddivisa tra madre e padre, anche in modalità frazionata, giorno per giorno o a ore. È un passaggio importante: significa riconoscere che la cura dei figli non è una questione “di genere”, ma una responsabilità che può — e deve — essere condivisa.
Il confronto con l’Europa: luci e ombre
Nonostante i progressi, l’Italia resta lontana dagli esempi più avanzati. In Svezia, i genitori possono contare su 480 giorni retribuiti all’80%, con tre mesi obbligatori per ciascun genitore. In Spagna, i padri hanno diritto a 16 settimane a salario pieno.
Paesi come Germania e Regno Unito, invece, si collocano su livelli più simili al nostro: due settimane retribuite in Germania, e in Gran Bretagna un congedo coperto solo fino a un massimo di 184 sterline settimanali.
Il quadro europeo mostra, dunque, una varietà di approcci, ma anche una tendenza comune: pensare la paternità come risorsa sociale e leva per la parità di genere.
Il ruolo delle aziende: oltre la legge
Le norme, da sole, non bastano. Sempre più imprese scelgono di andare oltre gli obblighi previsti, offrendo giorni o settimane aggiuntive di congedo, oppure servizi di accompagnamento alla genitorialità. È una scelta che parla di cultura, non solo di welfare.
Promuovere politiche di paternità significa agire su tre piani:
- organizzativo, ripensando tempi, flessibilità e modelli di lavoro per accogliere la vita familiare;
- culturale, valorizzando l’immagine di un padre presente, non accessorio;
- strategico, perché un’azienda che sostiene i padri sostiene anche le madri e contribuisce a una reale equità di genere.
I dati lo confermano: dove le politiche familiari sono più inclusive, cresce il tasso di partecipazione femminile al lavoro e migliora il benessere percepito. In altre parole, la paternità non è solo una questione privata: è una questione di performance e sostenibilità sociale.
Verso un nuovo equilibrio
Nel 2025 è stato introdotto anche un bonus nuovi nati di 1.000 euro, destinato alle famiglie con ISEE fino a 40.000 euro. Un segnale politico importante, ma ancora simbolico rispetto alla portata del tema.
Il vero investimento, per il futuro, sarà quello culturale: creare ambienti di lavoro che riconoscano la cura come competenza e valore, non come assenza o limite.
Le aziende hanno qui un’occasione straordinaria: fare della paternità una leva di rinnovamento organizzativo e di benessere diffuso. Un padre che può prendersi cura è anche un lavoratore più consapevole, empatico e responsabile.
In fondo, promuovere la paternità significa prendersi cura della società stessa, costruendo un futuro in cui il lavoro non sia in competizione con la vita, ma parte integrante di essa.