LA STORIA NELLA FORMAZIONE

La 1° legge del palco dice: “Non salire sul palco se non hai qualcosa da dire”.  Sapere questo è capire la forza delle storie nella formazione.

PERCHÉ LE STORIE SONO COSÌ IMPORTANTI NELLA FORMAZIONE

LA STORIA È TUTTO, ME L’HA DETTO LA MIA STORIA!

Ho mosso i primi passi da formatore partendo da due passioni l’animazione e il teatro. I primi corsi formativi sono stati quelli per animatori, ma i primi veri corsi più professionali, con aspettative più alte, con gente anche più grande di me, sono partiti dopo il successo dei primi grandi com “…mila persone” e qualcuno cominciò a chiedermi: “Ma tu riusciresti a spiegare ad altri come si fa?”. Fu lì che iniziò la passione di rompere il giocattolo e vedere che cosa c’era dentro, fu lì che inizio la ricerca sulla formazione in sé: come si fa a passare un sapere? Come si fa a far crescere una persona?

Come dicevo erano corsi di teatro, soprattutto di animazione da palco e di public speaking. Ricordo ancora il primo foglio, l’idea di procedere per passi, l’idea di legare un passo ad un’attivazione e a una frase chiave, una specie di mantra. Decisi che avrei iniziato dal primo assioma della Scuola di Palo Alto: “Non si può non comunicare”. Un gioco teatrale per dimostrarlo e poi la prima frase. Ma quale frase. Mi venne in mente che doveva essere vincolante, una specie di “legge”. Ma qual era la prima cosa vincolante da dire a chi sta su un palco?

La risposta venne istintiva, quasi all’improvviso, una risposta di cui non ero consapevole, ma che negli anni avrebbe ricevuto mille conferme: non salire su un palco se non hai niente da dire. Devi sempre avere chiaro cosa hai da dire, al di là della tua identità e della tua emozione. Se sei un motivatore, non salire su un palco per motivare, ma per dire qualcosa, che ovviamente dovrà motivare, ma solo consequenzialmente. Anche se sei un comico, non salire su un palco per far ridere, ma per dire qualcosa che farà ridere, ma sarà consequenziale. E quest’ultimo esempio è la prima cosa che mi hanno detto all’Accademia nazionale del comico.

“Non salire su un palco se non hai niente da dire”. È la prima legge del palco. Le ho chiamate così. Ne ho trovate 6 e ho scritto di loro in due libri: Animazione da Palco e Il Manuale dell’Imperfetto Incontro Formativo. Però forse non ho scritto abbastanza su che cos’è che fonda questa legge. Ci provo ora, perché è il teatro che me l’ha insegnato.

LA STORIA DIETRO

Noi siamo storie. Per questo le storie ci affascinano e ci prendono. Per questo quando ci incontriamo parliamo di come va la nostra storia e la storia di chi conosciamo. E se la nostra storia è poco interessante ci nutriamo delle storie degli altri, persino quelle inventate che diventano simbolo e desiderio delle storie che potremmo essere.

Noi siamo storie e la storia deve essere vera, per assurdo come diceva il mitico Gigi Proietti, può essere finta, “inventata per…”, ma non può mai essere falsa. Che cosa significa? Per capirlo dobbiamo andare alla differenza tra soggetto e sceneggiatura.

La sceneggiatura è tutto quello che si dice e si fa in un’opera teatrale o in un film. Il soggetto è il nucleo essenziale di quello che si vorrà dire o fare, contiene per certi versi il perché del racconto, il fondamento. Il soggetto è principalmente l’obiettivo che apre al percorso, la sceneggiatura è il percorso che porta con sé l’obiettivo. Avere qualcosa da dire per salire su un palco, significa avere chiaro il soggetto, perché è il soggetto che guida la sceneggiatura. Altrimenti dopo un po’ le parole diventano false. In ogni forma comunicativa è così, ma quando la comunicazione è performativa, vuole cioè attivare le persone a fare qualcosa, allora diventa fondamentale.

Quali sono i vantaggi di avere una storia dietro la tua comunicazione?

  1. La storia ti sorregge. Quando sei stanco e le tue energie hanno un calo, diventa fondamentale avere una fonte che vada al di là delle nostre energie. Se la storia è valida, sarà sempre vincente, non dipenderà più solo da noi, ma anche, e soprattutto, dalla storia.
  2. La storia corregge. Quando ci sono momenti no, quando chi ti ascolta fa saltare la tua tecnica, la tua attivazione, la storia alle spalle ti fa ricalcolare il percorso velocemente.
  3. La storia convince. Se tu hai qualcosa da dire, si vede. La tua comunicazione è più efficace, perché tu “non racconti storie” (la falsità, la truffa…), tu hai una storia vera e ne sei convinto, la gente vede questa tua convinzione e ti segue di più.

Salire su un palco con qualcosa da dire significa alla fine sapere il perché di quello che dici. Sapere chi sei, che lavoro fai e perché vuoi incontrare le persone che incontri.

LE STORIE DENTRO

Avere la storia dietro la mia formazione spiega perché funziona fare formazione usando le storie. Che sia storytelling, narrazioni autobiografiche, case history o aneddoti particolari, le storie funzionano sempre. Quello che conta però è la coerenza generale: le storie sono a servizio della storia, non viceversa. È sempre che cosa guida il tuo stare sul palco, che è anche bussola per decidere quali storie raccontare e quali no, quando mettere dei registri e quali altri. Esattamente come è la storia che ti guida, che ti fa scegliere il gioco e le attivazioni giuste.

Cambiare l’ordine è tornare a “raccontare storie da quattro soldi”, è mettere la torta sopra la ciliegia, è pensare al superfluo abbandonando l’indispensabile. Anche perché la prima regola per raccontare storie vere, belle e appassionanti è crederci. Crederci è molto più facile farlo su una grande storia, che non su una miriadi di storie. Ecco perché le storie vanno scelte con cura, quindi andiamo con i consigli:

  1. Dividi in tappa. Ogni grande storia è un’ipotesi di percorso, se lo dividi in tappe, in punti elenco è molto più facile trovare storie e aneddoti per ciascuno di loro… poi però quando vai in scena, valuta sempre se raccontarle tutte o meno!
  2. Dai una priorità. Ci sono sempre più obiettivi in una comunicazione performativa e a questi vanno sempre aggiunti gli obiettivi perenni, quelli di stile. Fare una priorità significa aiutarti non solo a scegliere storie, ma anche a decidere come cambiare il percorso in caso di qualche difficoltà.
  3. Alterna i registri. Una storia positiva a una negativa, una comica a una seria, una personale a una di un personaggio famoso. Perché le tante persone che ti seguono rimangono colpite ciascuno in modo diverso.
  4. Vivi il continuum. Se le storie sono a servizio della storia, allora inseriscile nel continuum della storia stessa. Non andare a capo con la storia, ma prosegui. Le storie devono sempre rispondere a un “due punti” e non a un “punto a capo”.
  5. Guarda il risultato. Il pubblico ti insegnerà quali storie per quali momenti e ti insegnerà anche a raccontare bene le storie. L’importante è seguirlo sempre, ascoltarlo sempre.

Per finire, se ti senti un po’ smarrito, se pensi di non farcela, ricordati che chi crede nella storia che lo fa salire su un palco, troverà sempre mille storie da raccontare. Il mondo ne è pieno. Perché noi siamo storie.

Gigi Cotichella