COME COSTRUIRE UN TRAINING TOOL

Seconda puntata nel mondo dei training tool, perché un bravo formatore se non ha lo strumento, lo costruisce!

COSTRUIAMO GLI ATTREZZI PER FORMARE!

Nella prima puntata abbiamo visto che cos’è un training tool. Ora è venuto il momento di vedere come costruirlo. Ma prima di iniziare, è bene ricordare due aspetti.
Il primo è la definizione. Abbiamo detto che il tool nella formazione è qualcosa di fisico, che è ludiforme e rientra nel campo formativo della facilitazione. Quindi avremo a che fare con il gioco per fare emergere dei vissuti che portino nella rielaborazione verso il sapere che vogliamo trasmettere.
Il secondo è che un training tool non è per forza sempre qualche cosa da costruire da zero, spesso è qualcosa che esiste già, come per esempio un gioco da tavolo, che noi rivisitiamo un po’.
E proprio dai giochi da tavolo prendiamo due aspetti fondamentali per il nostro discorso.

Meccaniche e dinamiche.

In un gioco da tavolo esistono due dimensioni: le meccaniche e le dinamiche.
Le meccaniche sono, per dirla con Walter “Plautus” Nuccio, “una relazione tra risorse ed effetti”. Di fatto determinano il funzionamento delle parti del gioco, sono le regole di gioco in senso largo perché comprendono anche il numero di giocatori, i metodi di controllo, le parti del gioco stesso.
Le dinamiche invece sono le reazioni e le relazioni che nascono del gruppo giocando, quindi sono proprio le dinamiche di gruppo che nascono dalle meccaniche del gioco.
Meccaniche e dinamiche sono le due basi fondamentali per creare un training tool.

Come fare quando costruisco un tool da zero

Quando parto da zero, devo sempre partire dalla fine e dal fine. Il fine mi dice quello che voglio ottenere e la fine mi indica il punto di un processo che avviene solo dopo altri passaggi.
Prendiamo un tema, per esempio la fiducia, e vediamo i vari passaggi.

  1. Analizzo il tema e lo scompongo in azioni e dimensioni. Si tratta cioè di trovare le dinamiche della fiducia. Lo si fa rispondendo a delle domande d’analisi: che cosa si fa quando ci si fida? Quando viene tradita la fiducia? Quali sono le condizioni per fidarsi?
  2. Scelgo la dinamica più forte. Qui è importante dire una cosa che ho sottolineato molto quando ho descritto la dimensione PLAY dell’incontro nel Manuale dell’imperfetto incontro formativo. Quando si usa il gioco nella formazione, non è necessario che il gioco spieghi tutto per filo e per segno. È importante che presenti un aspetto che farà da portale per entrare nella dimensione del sapere.
  3. Collego la dinamica a uno o più oggetti fisici. Aspetto fondamentale, perché altrimenti è una tecnica e non un tool. Quale oggetto può creare quella dinamica? Ovviamente per essere propriamente un tool, l’oggetto deve essere quasi insostituibile. Una benda per gli occhi non è propriamente un training tool, perché il training tool oltre la funzionalità ha una chiara identità.

Una volta fatti questi passaggi il tool è pronto per il testing e il packaging.

Per farmi capire ancora meglio, provo a raccontarti facendoti l’esempio di come ho costruito Projectus, il training tool per progettare insieme.

  1. Ho analizzato il tema e il problema che volevo risolvere. Quali sono i problemi del progettare insieme? Essenzialmente due.
    Il primo è che il gruppo può avere molte idee diverse sulla progettazione. Quindi bisogna fare una formazione che però non allontani dal fatto che si deve progettare insieme.
    Il secondo è che nel decidere insieme, c’è sempre chi è troppo presente e chi troppo assente.
  2. Ho chiarimento meglio gli obiettivi. Avevo bisogno di due dinamiche: una formativa collegata ad un apprendimento pratico, una comunicativa per obbligare tutti a partecipare e per livellare gli interventi.
  3. Ho cercato gli oggetti fisici adatti. Sono partito dalla dinamica comunicativa. Mi sono venute in mente i giochi di carte: tutti devono partecipare al loro turno, tutti partecipano anche reagendo a quanto fatto da altri. Così ho creato delle carte per tirare giù una proposta, ma anche delle carte “reazione” per rispondere alle proposte. Ho collegato poi due regole altrettanto semplice: ogni intervento andava scritto su un post-it e collegato alla carta, e non si può non reagire in qualche modo alla proposta arrivato. In questo modo ho limitato l’emotività a favore della sostanza, grazie all’utilizzo della scrittura; inoltre, con l’obbligo della reazione minima, lasciando aperti spazi più larghi per chi volesse, ho fatto partecipare tutti.
    Sono passato poi alla dinamica di apprendimento. Ho pensato a qualcosa di agile per dire un contenuto, scomponendo in parti semplici. Dovevo collegarlo con una mini-esperienza veloce. Mi sono rivenute in mente le foto evocative, in cui ognuno vede sempre un po’ quello che vuole. Ho scelto così delle foto simboliche e attraverso delle domande provocatorie, a volte anche buffe, ho tirato fuori gli aspetti fondamentali per scrivere una finalità e un obiettivo. Le foto poi avevano altre caratteristiche positive: potevano continuare a dire la dimensione delle carte (le ho solo fatte più grandi) e rimanendo sul tavolo, mentre le persone scrivevano la loro proposta, potevano aiutare dando un confronto diretto con la teoria.

Tutte le altre azioni (con nuove meccaniche e nuove dinamiche), sono avvenute dopo in fase di testing e hanno influenzato anche il packaging finale.

Come fare quando riadatto un gioco per un training tool

Parto dai giochi da tavolo perché è la cosa più semplice: hanno già la dimensione ludica fondamentale per il ludiforme e hanno la parte fisica già pronta e testata.
In questo caso le azioni da fare sono leggermente diverse dalle precedenti. La differenza sta tutta, ovviamente, che partiamo da qualcosa che esiste già.

 

  1. Gioco. Sembra banale, ma non lo è. Per diventare bravissimi a individuare le dinamiche e le meccaniche che possono essere utili, senza giocare, c’è una sola strada… GIOCARE! Perché è proprio una questione di allenamento.
  2. Rielaboro i vissuti. Mi segno cioè le dinamiche che rimangono, quelle che persone sottolineano perché le hanno colpite in qualche modo. Parto dalla mia esperienza, certo, ma posso scandagliare quella degli altri con opportune domande.
  3. Mi alleno a collegare. È così che scopro le dinamiche collegate ai saperi. È così che ho collegato Duplik nei moduli formativi sulla comunicazione o Stay Cool in quelli sulla gestione dello stress. A volte è più facile, altre volte meno.
  4. Elimino il superfluo. Un gioco non nasce come training tool e spesso ha molto di più che può rovinare il mio obiettivo formativo. Posso quindi prendere l’aspetto che mi interessa e cambiare o eliminare il resto. Il rispetto verso gli autori e i gamers, mi obbliga però a dire che al gioco si gioca in modo diverso.
  5. Ritaro tutto come se scrivessi un format Scrivere mi fa fare il salto di qualità, perché è come se scrivessi le istruzioni di un autentico training tool. Per esempio, è proprio così che è nato l’ebook che ha trasformato Dream on da gioco in autentico tool, con 10 proposte per usare le sue carte in ambito formativo! (Se ti interessa, l’ebook è gratuito comprando il gioco sul Pagliaio di Ago cliccando qui).

In conclusione

Come puoi vedere è abbastanza semplice provare a costruire un training tool. Ora il problema è magari costruirne uno di davvero efficace. In effetti se te lo stai chiedendo, hai centrato l’obiettivo. Tuttavia, credo che sia bene ricordare Rodari e quanto diceva sulle storie. Secondo il buon Gianni, scrivere storie con il binomio fantastico non dava la certezza di scrivere belle storie, ma c’è un solo per imparare a scrivere belle storie, ed è… scrivere storie!
La parafrasi è scontata. Costruire o riadattare training tool non ci dà la certezza di avere bei nuovi training tool, ma c’è un solo per imparare a fare bei training tool, ed è… fare training tool!

Gigi Cotichella