CIÒ CHE FORMA… SALVA

La formazione può salvare. O almeno può aiutare la salvezza. In questo articolo, partendo da un libro e una serie di tv di successo, Anna Desanso, ci mostra le condizioni.

Formazione e salvezza?

Parlare di salvezza oggi sembra anacronistico. Pare essere un tema da relegare all’ambito teologico e catechistico, non di certo legato alla formazione o al campo scolastico. Più consono all’alveo educativo e formativo ci pare il termine salute. Ma sono davvero due termini diametralmente opposti, senza punti di contatto? Abbiamo mai pensato che formare sia anche un po’ salvare?

Salute e salvezza, termini a confronto

Attualmente i confini fra le varie sfere della vita diventano sempre più permeabili, i termini salute e salvezza richiamano ad una visione olistica dell’essere umano. In maniera tradizionale si direbbe “salute del corpo e salvezza dell’anima”. Se guardiamo al termine inglese health, la sua radice è hal (tutto), mentre in greco holos (tutto). Parole come sacro, santo (holy), ricchezza (wealth) derivano dalla stessa radice holos, come ad indicare lo stesso principio per la sfera corporale e quella spirituale. È come se la salute, la spiritualità e il benessere richiamassero ad un’integrità indispensabile per l’uomo, una totalità che abbraccia le sue diverse dimensioni. Il dialogo fecondo delle sue tanti parti lo rende un essere completo ed aperto alla vita.

Risemantizzare salute/salvezza in ambito educativo e formativo significa farsi carico della persona nella sua integrità, tenere conto dei suoi tanti ruoli, della poliedricità delle sue emozioni, del suo essere relazionale e immerso nella sua natura adamantina.

Come aprirsi alla possibilità di una formazione salvifica?

Dove si nasconde la salvezza

È Daniele Mencarelli ad aprire le porte a questo vocabolo con il suo libro “Tutto chiede salvezza”, diventato anche una serie tv di successo su Netflix. E’ un racconto autobiografico, l’autore narra un’estate diventata pietra miliare della sua crescita personale, passata attraverso la dura esperienza di un TSO. Poco più che ventenne si trova a dover fare i conti con la propria fragilità, una vulnerabilità che il mondo non sa accogliere e decifrare, solo il confronto con i suoi compagni di camerata gli permetterà di poter normalizzare il suo sentire ed imparare finalmente che solo affrontando la nostra vera natura possiamo dirci umani.

È qui che il nostro Daniele ci fornisce una chiave per sbottonare il cuore e ci aiuta a capire quanto la formazione conduca verso una via di salvezza, perché sa accogliere la complessità della realtà e cerca di tradurla puntando all’essenziale. Un bravo formatore è colui che sa accogliere le differenze dei discenti che ha di fronte fornendo loro piccoli strumenti per affrontare un pezzetto di mondo, senza la velleità di voler risolvere ogni risvolto dell’esistenza ma fornendo “piccoli passi possibili..”

Oltre la prestazione

Il nostro protagonista è un uomo in ricerca: “La mia malattia si chiama salvezza, ma come? A chi dirlo? […] A terrorizzarmi non è l’idea di essere malato, ma il dubbio che tutto sia nient’altro che una coincidenza del cosmo, l’essere umano come un rigurgito di vita, per sbaglio[1]. Accanto a lui un altro paziente che ripete una sola frase “Maddonina ho perso l’anima” e un’infermiera che canta nella sua lingua d’origine “Gesù è l’unico che salva”, un trittico che urla il bisogno di essere salvati da antiche ferite, che continuano a sanguinare senza tregua alcuna. Si susseguono a ritmo incalzante le domande sul senso della vita, del male, della sofferenza e dell’ingiustizia.

Quesiti che non trovano riscontro nell’attuale sistema di valori, perché per la società odierna il compito principale è quello di realizzarsi, la vera felicità è quella del successo. Siamo degli “arrivati” solo se abbiamo una carriera lavorativa che ci rende popolari e riconoscibili, che si traduce in un approssimativo e semplicistico fare soldi. Il pacchetto completo ha un caro prezzo: fatica e sacrifici, annullamento di sé, cancellazione dei desideri autentici e occultamento della voce della coscienza. Il rischio però è quello di giocarsi la salute mentale e fisica, perché per reggere lo stress e il senso di vuoto ci si getta su ansiolitici, farmaci per l’insonnia e medicinali che possano restituirci anche per poco tempo quella sensazione di pace che abbiamo perduto, diventata ormai un lontano ricordo.

La formazione ci deve fornire la soluzione per vivere una vita lontana da una lettura univoca in chiave di produttività ed efficienza. Il formatore per primo deve essere libero dall’ansia da prestazione e donare ai fruitori una via di fuga dalla dittatura del fare. Siamo chiamati a seguire i passi del Maestro che non guarisce solo dalle infermità ma ripulisce la vita dei malati dall’ombra del peccato, un po’ come dire che non è sufficiente fornire dei contenuti ma è necessario preoccuparsi di come ciò che viene insegnato possa davvero segnare l’hic et nunc della persona che abbiamo di fronte.

Farsi carico di quel grido d’aiuto, ascoltarlo e declinare nella vita di ciascuno l’incontro e il percorso che abbiamo pensato, con una specifica attenzione alla ricaduta. Si tratta di dare forza a quella che è una delle tre passioni dele formatore, bene enunciate nel Manuale dell’imperfetto incontro formativo, la passione per i destinatari.

In conclusione?

Prima ancora d’immaginare qualsiasi tematica da affrontare o progetto da proporre credo sia importante porsi delle domande. Sarà nuovamente Daniele a fornirci le linee guida per una buona idea progettuale, che ci ricorda che in primis l’uomo è domanda, che sono i quesiti a dare un senso al nostro agire, più ancora delle risposte stesse.

Il focus di una formazione salvifica si interroga su:

  • Ciò che propongo ha a che fare con la vita di ciascuno, può aggiungere sale alla sua quotidianità? Ricordandoci che siamo chiamati ad essere lievito per far crescere chi si affida alle nostre cure.
  • Stiamo indicando cosa vedere o dove guardare? E’ davvero troppo importante preservare l’unicità di ciascuno, come dice Mario, il compagno di stanza di Daniele, “Non lasciare che nessuno ti racconti il mondo, ma lascia libero il tuo sguardo”.
  • Quello che propongo scomoda dalla propria zona di comfort e li fa giocare in prima persona? Se non mi tocca nel profondo si inserisce nel turbinio dell’infodemia in cui siamo costretti a vivere.
  • Sono capace di regalare la magia dell’arte e la meraviglia della sorpresa? Abbiamo bisogno di essere stupiti e condotti ad un livello superiore.
  • In ultima istanza sono testimone di quella nostalgia buona della Bellezza, della ricerca reale della radice di Dio in ogni cosa? Perché proprio il tutto è presente in un frammento.

Mencarelli dona l’ultimo e più importante messaggio a noi educatori, insegnanti e formatori: “ La vera pazzia è non cedere mai. Non inginocchiarsi mai. […] Dall’alto, dalla punta estrema dell’universo, passando per il cranio, e giù fino ai talloni, alla velocità della luce, e oltre, attraverso ogni atomo di materia. Tutto mi chiede salvezza”. Sta a noi spalancare cuore ed orecchie a questo grido disperato.

[1] D. MENCARELLI «Tutto chiede salvezza», Mondadori, 2022, 22-23.

 

Anna Desanso

Foto di REGINE THOLEN su Unsplash